Lettere al direttore
Le manipolazioni più pericolose sulla riforma della giustizia
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - “Ho letto la finta intervista a Falcone da Floris perché me l’hanno mandata persone serie. […] Erano persone autorevoli dell’informazione, me l’hanno riportata come autentica, e io l’ho letta”. Così Nicola Gratteri intervistato sul Foglio da Ginevra Leganza. Verosimilmente, però, era una sola persona seria e autorevole dell’informazione. E’ improbabile, infatti, che la mail gli sia stata inviata da un collettivo di zelanti delatori. L’uso del plurale, in questi casi, è un uso “di vaghezza”. Ora, come diceva Pasolini, io so il nome di quella persona (non è difficile), ma non ho le prove. Ma non è questo il punto. Come lei spesso ha sottolineato, caro Cerasa, il punto è che la separazione delle carriere tra pm e giudice dovrebbe essere integrata dalla separazione delle carriere tra magistrati e giornalisti. C’è di più. L’episodio per certi versi grottesco di cui è stato protagonista il procuratore di Napoli, una delle icone della lotta alle mafie, allude a una cultura delle prove, come dire, piuttosto disinvolta. E ciò, come cittadino italiano, mi preoccupa non poco.
Michele Magno
La manipolazione della realtà è una scorciatoia necessaria per non ammettere la verità. La questione è tanto semplice quanto evidente. Chi è contro questa riforma ha tutto il diritto di farlo. Ma deve riconoscere che dire di no alla separazione delle carriere, all’Alta corte, alla riforma del Csm non significa proteggere la Costituzione, difendere la democrazia. Significa affermare che lo status quo funzioni. Un dato: dal 2017 al 2024, lo stato ha pagato 250 milioni di euro di risarcimenti. Ci sono state 5.933 ingiuste detenzioni. Numero sanzioni disciplinari nei confronti dei magistrati: 9. Lo status quo funziona? La manipolazione della realtà più pericolosa, forse, è questa qui. Negare che avere più terzietà significhi anche avere minore irresponsabilità.
Al direttore - Leggo sul Foglio dell’8 novembre un articolo di Mariarosaria Marchesano sul Pnrr, con una dichiarazione del vicecapo della Statistica di Bankitalia, Fabrizio Balassone: l’Italia avrà speso, entro fine anno, la metà delle risorse europee, cioè 100 miliardi su 194. Ma va ricordato che al Pnrr si aggiunge il Piano nazionale complementare (Pnc), pari a circa 30 miliardi, anch’esso con scadenza al 30 giugno 2026. Il valore globale delle risorse disponibili è dunque 224 miliardi, e se nei prossimi sette mesi riusciremo a spenderne altri 10-12, resteranno inutilizzati circa 120 miliardi. Scrivo però non per ripetere numeri ormai noti, ma per ricordare che tre anni fa, nell’autunno del 2022, avevo previsto proprio questo scenario. Non per doti da veggente, ma per la consapevolezza che i governi Conte e Draghi non avevano attuato due condizioni essenziali: una chiara identificazione degli interventi e una governance unica. Il Pnrr e il Pnc, infatti, sommano titoli di progetti più che programmi concreti e sono affidati a sei ministeri diversi, senza una regia unitaria. Va riconosciuto al ministro Raffaele Fitto di aver compreso la necessità di una governance unica: senza la sua azione, oggi probabilmente non avremmo superato i 70 miliardi di euro di spesa.
Ercole Incalza
Al direttore - Leggendo “AI, la rivincita delle news” (27 ottobre) sembrerebbe che gli editori italiani siano un curioso ibrido tra il “servitore volontario” di La Boétie e Tafazzi: pronti a colpirsi da soli difendendo la “tirannia dell’algoritmo”. L’ultima prova, secondo l’autore, sarebbe il reclamo Fieg all’Agcom contro AI Overviews di Google, iniziativa giudicata tardiva e anacronistica. Eppure, nelle riflessioni di Marco Bardazzi c’è anche un elemento incoraggiante: l’idea che l’intelligenza artificiale premi sempre più originalità e autorevolezza. Se davvero “la qualità vince sulla visibilità”, questo è un segnale positivo per chi lavora quotidianamente per difendere il valore dell’informazione professionale. Gli editori sanno bene che le notizie affidabili sono la materia prima dell’ecosistema AI. Ma prima di immaginare algoritmi in cerca di qualità, occorre garantire che il lavoro giornalistico sia tutelato e valorizzato. E’ per questo che la Fieg – che rappresenta quotidiani, periodici, testate digitali e agenzie – ha una bussola chiara: impedire lo sfruttamento non autorizzato dei contenuti protetti, sia nell’addestramento dei modelli sia nella generazione automatica delle risposte. In quest’ottica, l’iniziativa contro AI Overviews – promossa in Italia e in altri paesi Ue – non è una difesa nostalgica della SEO economy, ma un intervento reso possibile dal Digital Services Act, in vigore da febbraio 2024, primo strumento europeo che impone obblighi effettivi di trasparenza e mitigazione del rischio alle piattaforme. Le proposte della Fieg, illustrate anche sul Sole 24 Ore lo scorso 25 ottobre, convergono verso un quadro normativo chiaro: un modello legale di remunerazione che eviti l’esclusione di autori ed editori dalla catena del valore dell’AI; regole sull’uso di dati e articoli giornalistici per l’addestramento; il ripristino del principio di autorizzazione preventiva; obblighi informativi per i fornitori di AI, inclusi riassunti dei contenuti usati e liste dei dataset su richiesta; un registro armonizzato per l’opt-out, con strumenti di audit e tracciabilità. Non è la regolazione a frenare l’innovazione, ma l’assenza di regole a renderla fragile. Solo un equilibrio tra diritti e tecnologia può garantire un futuro dell’informazione equo e di qualità.
Isabella Splendore, responsabile Area giuridica e internazionale Fieg