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lettere al direttore
Confondere la libertà di espressione con il diritto di menzogna
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Caro direttore, ho l’impressione che nell’élite culturale italiana troppi – professori universitari, giornalisti, magistrati, politologi, letterati – confondano la libertà di parola con il diritto alla menzogna. E ciò costituisce un problema assai serio per la formazione di un’opinione pubblica democratica, matura e informata.
Michele Magno
Capita, quando la libertà d’espressione viene utilizzata per dare diritto di tribuna alle falsità di solito il problema non è la libertà d’espressione ma è chi accetta che a una falsità, per essere reale, basti essere virale.
Al direttore - Desideriamo innanzitutto ringraziare il Foglio per la bella recensione dedicata al nostro volume “Leggere gli spazi. Percezione narrativa di Eretz Israel”. L’analisi è stata attenta e generosa, e ci ha fatto molto piacere vedere colto il cuore del nostro lavoro: l’intreccio tra geografia e letteratura, tra percezione e memoria, nell’interpretazione della Terra d’Israele. Ci permettiamo una piccola precisazione. Tra gli autori trattati nel volume – Agnon, Koestler, Bluwstein, Melville, Eliot, Potok e altri – non compare Salman Rushdie, come invece riportato nella recensione. Rushdie è senza dubbio un grande narratore, ma non si è mai occupato di raccontare Israele. Il riferimento è probabilmente frutto di un refuso dell’AI. Un refuso confortante: l’AI ha ancora bisogno dei nostri occhi e delle nostre penne. Anche quando scrive ottime recensioni!
Daniela Santus Matteo Bona
Al direttore - Un tema nuovo è comparso nelle discussioni e nell’agenda della Cop30, in corso in Brasile: l’adattamento. Sostanzialmente, la presa d’atto che gli obiettivi di contenimento delle emissioni climalteranti – quelli che, secondo gli studi dell’Ipcc, avrebbero consentito di limitare l’aumento di temperatura entro 1,5 gradi – sono impossibili da raggiungere. Anzi, è già grasso che cola se nei prossimi anni si riuscirà a stabilizzarle. Senza dimenticare che quel che conta non sono solo le emissioni annuali, ma quelle cumulate, che hanno bisogno di decenni per essere assorbite. Ma siccome ciò che invece è certo è che le temperature sono in aumento – e questo in alcune aree del mondo comporta disagi e, per altre, anche rischi assai gravi – meglio predisporre tutti i rimedi utili, cioè adattarsi. Difesa delle coste contro l’innalzamento dei mari, stoccaggio delle acque piovane contro la siccità, edifici più solidi contro i fenomeni climatici estremi, diffusione dei condizionatori soprattutto nelle metropoli, e via dicendo. Gli interventi di adattamento mettono però subito in evidenza una cosa: costano, e ancora una volta quelli che hanno più possibilità sono i paesi più ricchi. Per una famiglia europea un condizionatore rappresenta una spesa affrontabile; per una famiglia africana è un investimento molto pesante. La prima necessità, quindi, per le economie più deboli è crescere economicamente – ma questo comporta un ulteriore e probabile aumento delle emissioni. Un circolo vizioso che ha innescato una nuova rivendicazione da parte dei paesi del sud del mondo: la richiesta di maggiori risorse finanziarie da parte dei paesi dell’area Ocse.
Chicco Testa