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lettere al direttore
Schlein dimostri buon senso e vada con Fiano e Bernini a Ca' Foscari
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Pluralismo! No alla campata unica!
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Il giorno dopo il cataclisma della separazione delle carriere non mi convince né chi acclama né chi si straccia le vesti. Il contenimento delle correnti mi convince un po’ di più. Comunque la temuta sottoposizione delle procure al potere politico è un po’ un assioma. In Francia i pubblici ministeri, sottoposti al controllo del ministro della Giustizia, hanno ottenuto di far mettere in carcere un ex capo di stato, Nicolas Sarkozy. In Spagna, carriere separate, è indagata la famiglia del premier González e in Portogallo, anche lì carriere separate, una indagine, forse sbagliata, ha fatto cadere il governo Costa. In realtà nessuno sa, in modo empirico e non ideologico, quello che succederà. Quello che è certo è che la separazione e il referendum occuperanno, anche e come sempre in modo improprio e anche settario, tutta la vita politica sino a primavera. E questo non è un bene per nessuno.
Guido Salvini, ex magistrato
Al direttore - Emanuele Fiano tornerà all’Università Ca’ Foscari, dove potrà “concludere pubblicamente il suo intervento”, dice orgogliosa a Repubblica la rettrice Tiziana Lippiello, per cui, chiosa, “antisemiti e violenti hanno perso”. Può darsi. Peccato che alla domanda sui motivi che hanno spinto la sua università a interrompere le relazioni con atenei e istituti di ricerca israeliani, la rettrice prima si arrampica sugli specchi, evidenziando che “i rapporti non sono interrotti, ma sospesi fino al termine del conflitto tra Israele e Palestina”, per poi sottolineare, fiera, che “la stessa misura riguarda la Russia”. Se la rettrice di un blasonato ateneo mette sullo stesso piano un paese, la Russia, che ha invaso senza ragione il paese confinante, e uno, Israele, che ha dovuto reagire, con forza e drammaticamente, a un massacro compiuto da terroristi, beh, allora sarà difficile credere che violenti e antisemiti abbiano davvero perso.
Luca Rocca
Una modesta proposta, suggerita ieri mattina a Radio 24 anche da Paolo Mieli: cosa aspetta Elly Schlein, il 4 novembre, ad accompagnare Emanuele Fiano e il ministro Bernini a Venezia, alla Ca’ Foscari, e a dimostrare che contro l’antisemitismo non c’è destra, non c’è sinistra, ma c’è solo unito il partito del buon senso? Per farlo, ovviamente, servirebbe buon senso. Non farlo, ovviamente, dimostrerebbe il contrario. Cosa si aspetta?
Al direttore - Leggendo le cronache dei “niet” negli atenei per Molinari, Capezzone, Parenzo e infine Fiano ho capito una volta per tutte che il povero Ramelli fu ucciso dai fascisti.
Francesco Palmieri
Al direttore - Credo sia il momento di aggiustare il tiro: basta guerra all’“antisemitismo”, un discorso ormai logoro; concentriamoci invece sull’“antisionismo”, la sua versione moderna e più pericolosa. Nella battaglia attuale su Israele pochi si dichiarano apertamente antisemiti, molti si proclamano antisionisti: ed è questo il fatto più grave, perché non minaccia soltanto gli ebrei ma i princìpi dell’occidente. Non amare gli ebrei non è automaticamente un reato: può essere una semplice antipatia culturale o religiosa, paragonabile a riserve verso altre comunità, purché non sfoci in odio, violenza o discriminazione. Io stesso conosco storie famigliari complesse – un nonno che, pur con idee reazionarie, ha salvato ebrei durante le persecuzioni; un padre europeista che non distingueva per convinzione tra persone; un amico passato da posizioni antisemite a convinto sostenitore di Israele. Queste conversioni dimostrano che l’avversione personale non coincide necessariamente con l’ostilità politica e la negazione dei diritti. L’antisionismo, invece, nega legittimità e diritti fondamentali: presume che Israele sia un “colonialista” – falso, perché manca una madrepatria sfruttatrice – o uno stato intrinsecamente razzista – altrettanto falso, vista la composizione etnica e religiosa della società israeliana, dove convivono ebrei etiopi, drusi, beduini, arabi israeliani e altre minoranze. Si pretende infine che Israele non abbia titolo storico o giuridico sulla propria terra: ma il mandato britannico, l’articolo 22 della Società delle nazioni e la Dichiarazione Balfour fornirono una base legale alla nascita dello stato ebraico, poi riconosciuto nel 1948. Negare lo stato di Israele significa mettere in discussione i princìpi dell’autodeterminazione, i diritti umani, la democrazia liberale e la tutela delle minoranze – pietre miliari della civiltà occidentale. Difendere Israele oggi è dunque difendere noi stessi. A chi dice “non sono antisemita, sono antisionista”, rispondo: “Fai quel che vuoi dei tuoi sentimenti, ma il tuo antisionismo è una minaccia anche per te”.
Francesca Benvenuti
 
 
                             
                                