lettere al direttore

I buoni anticorpi dell'occidente per difendere i confini della libertà

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Scrive giustamente Marco Leonardi, in un articolo sul Foglio del 23 ottobre, che sterilizzare “il fiscal drag non è un’idea di sinistra o di destra, è una regola di buon senso fiscale”. Al di là dei calcoli che si possono fare per valutare se e quanto altre misure con obiettivi propri abbiano indirettamente concorso a ridurre l’onere del drenaggio fiscale su salari e stipendi, appare necessario affrontare questa materia anche con meccanismi istituzionali. Un confronto periodico al riguardo del tipo governo-parti sociali-autorità monetarie sembra opportuno, se non necessario. Si tratta, insomma, di ricorrere  non ad automatismi (già si prevede chi insinuerebbe che si vuole ripristinare la scala mobile), bensì a una  misura di doverosa riparazione e di equità fiscale, frutto di una corretta analisi. E’, del resto, lo schema, sia pure per una più ampia finalità, voluto dal governo Ciampi nel 1993, alla base della politica dei redditi.
Angelo De Mattia

 

Con una differenza sostanziale. All’epoca, Ciampi stabilì i princìpi della “concertazione”. E la concertazione, ovvero sentire tutti per accontentare più o meno tutti, mi pare sia diversa dalla consultazione: sentire tutti e poi decidere cosa fare, scontando qualcuno. Concertazione è stata con Cisl e Uil, un po’ meno con Confindustria, praticamente nulla con l’Abi, praticamente nulla con la Cgil. Vedremo gli effetti. Ma la differenza c’è. 

 


  

Al direttore - Giuliano Ferrara, con “La Repubblica delle illusioni”, ha rovesciato una certa tendenza al pianto con cui molti hanno cominciato a guardare l’occidente dopo il secondo mandato trumpiano: ogni mutamento diventava una catastrofe; ogni discontinuità, la fine della civiltà.
E’ partito un pianto ininterrotto sul tramonto dell’occidente e sui valori che per anni ne avevano guidato il racconto. L’America non è più la madre delle libertà, ma una potenza fra le potenze, e il vecchio ceto riflessivo ha perso la sponda morale su cui aveva costruito la propria autorità. Questo “piagnisteo dell’occidente”, a me, pare la maniera più elegante con cui un’élite in pensione racconta la propria decadenza come tragedia collettiva. Forse non si tratta di piangere la fine del mondo, ma di riconoscere la fine di un monopolio morale. E chissà se l’occidente non ritorni a essere realtà, anziché retorica.

Rodrigo Merlo

 

Con una aggiunta sostanziale. L’occidente spesso si autodescrive come molto debole. Questa debolezza enunciata viene presa sul serio dai suoi nemici che in varie forme attaccano l’occidente che si autoconsidera debole. Ma quando l’occidente viene attaccato di solito offre ai suoi nemici uno spettacolo notevole, imparando a difendersi, a fare squadra e a mostrare quanto le democrazie abbiano ancora buoni anticorpi per difendere insieme ai propri confini anche altri confini sottili: quelli della libertà.  

 


   

Al direttore - Il 1° aprile 1925 sul Monte Scopus veniva inaugurata l’Università ebraica di Gerusalemme Hayim Nahman Bialik, padre della moderna letteratura ebraica, con tono solenne affermò “il popolo d’Israele ha acceso oggi la prima candela della rinascita della sua vita spirituale”. Quel giorno non nacque soltanto un’università, ma una visione del mondo: un luogo dove la conoscenza ebraica potesse misurarsi con la scienza moderna, e la lingua risorta dell’ebraico tornasse a essere lingua di pensiero, di ricerca, di libertà. Fu Einstein a volerla, Freud ad accompagnarla con parole di benedizione, Bialik e Ahad Ha’am a sognarla come un ponte tra passato e futuro.  Da allora, l’Università ebraica di Gerusalemme è rimasta fedele a quel gesto inaugurale: unire, non separare. Unire la memoria e l’innovazione, la fede e la ragione, l’identità e la convivenza. Oggi è un laboratorio di pluralismo reale – oltre un quinto degli studenti appartiene alle minoranze arabe, musulmane e cristiane – e un centro scientifico tra i più prestigiosi del mondo.  Molti di coloro che vi insegnarono venivano da lontano: dall’Europa in fiamme, dalle università svuotate dalle leggi razziali. Umberto Cassuto, Enzo Bonaventura, Guido Tedeschi, Giulio Racah – nomi che raccontano un’altra rinascita, quella degli esuli che fecero della scienza una forma di riscatto. Nonostante le ferite della storia, l’università ha continuato a rinascere. Ogni generazione ha riacceso quella candela che Bialik vide accendersi sul Monte Scopus: una luce che non appartiene a un solo popolo, ma a tutti coloro che credono che la memoria e la conoscenza siano i veri mattoni del futuro. Cento anni dopo, possiamo dire che quella candela non si è mai spenta, la sua luce si è moltiplicata: nei laboratori, nelle aule, nei campus, nelle voci dei suoi studenti  dando vita a importanti risultati nell’innovazione, incluso lo sviluppo di farmaci salvavita e la creazione di aziende influenti in vari settori.  Lì dove la lingua era un sogno, oggi è strumento di scienza. Lì dove il sapere era esilio, oggi è casa. Buon compleanno, Università ebraica di Gerusalemme. Hai dimostrato che un’idea può resistere a un secolo di storia, alle guerre, e restare ancora giovane.
Andrée Ruth Shammah