
Ansa
Lettere
Se la sinistra stigmatizza solo i fascismi del passato ignorando quelli del presente
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Caro Cerasa, non ho letto niente di offensivo nelle parole della ministra Roccella. In fondo, ha osservato che la memoria della Shoah è oggi legata esclusivamente a una parentesi della storia nazionale, quella nazifascista. Mostruosa e irripetibile. Non è così. L’antisemitismo istituzionale del regime mussoliniano non fu imposto con la forza da una minoranza di fanatici: fu accettato e praticato dalla maggioranza degli italiani. Se da un paio d’anni l’ondata antisemita è insieme così violenta e così negata, è perché il nostro paese non ha ancora fatto i conti con se stesso. Vale per le forze politiche di destra e di sinistra. Queste ultime, peraltro, ancora molto presenti e molto rappresentate nel mondo della scuola e della cultura. Se il candidato governatore della Puglia Antonio Decaro canticchia “Palestina libera dal fiume al mare”, se sindaci antifascisti offrono la cittadinanza onoraria a Francesca Albanese, se i senati accademici fanno ciò che sappiamo contro Israele, significa che l’antisemitismo odierno non deriva da quello di ieri. Deriva dalla mancanza di verità su ciò che siamo oggi, nella vita pubblica e nei sentimenti popolari. Eugenia Roccella, insomma, come dimostrano alcune reazioni scomposte al suo discorso, ha toccato un nervo scoperto della Repubblica democratica nata dalla Resistenza.
Michele Magno
Al direttore - Conosco da tempo due amici che da anni se le danno di santa ragione ogniqualvolta si parla di politica, di destra e sinistra, di fascismo e antifascismo. Uno dei due è da sempre un sincero democratico, di sinistra, impegnato a odiare ogni forma di estremismo di destra e di fascismo. Il secondo tutto l’opposto: nostalgico di Mussolini, estimatore di Hitler, disprezzatore degli ebrei e di Israele. Qualche giorno fa li incontro entrambi. L’antifascista dice la sua sul cessate il fuoco a Gaza: questa non è pace, Salvini racconta fesserie, il Papa è del tutto inutile. E infine le parole che non ti aspetti: la verità è che Hitler avrebbe dovuto finire il suo lavoro contro gli ebrei. Il fascista, sorpreso ma evidentemente soddisfatto, solleva lo sguardo, osserva l’interlocutore, ed esclama: beh, da quanto tempo è che te lo dico? L’antifascista da sempre disgustato dall’amico che odia gli ebrei, oggi si ritrova al fianco dell’antisemita. Ecco, caro direttore, il timore è che, come scriveva lei qualche giorno fa, la prossima battaglia da vincere è proprio quella contro un antisemitismo che la reazione al massacro del 7 ottobre ha spinto a uscire dalla tana, dove da anni era rintanato in attesa dell’occasione giusta per venire allo scoperto.
Luca Rocca
Al direttore - Spesso anche voi cadete nella scorrettezza del definire “fascista” qualsiasi comportamento che annulli ogni idea diversa. Questo comportamento c’è stato, c’è e ci sarà sempre sia nel fascismo sia nel comunismo. Nel caso specifico de “L’editoriale del direttore – Uno slogan e la deriva fascista che la sinistra non riesce a vedere” di Claudio Cerasa 13 ottobre 2025 sicuramente non state certamente descrivendo dei “fascisti” ma dei “comunisti”.
Andrea Baruffaldi
Vero. Ma nel caso specifico chiedere di eliminare Israele, trasformando il popolo ebraico in un bersaglio, è fascismo puro, se non di più. E un tempo, di fronte a questo fascismo la sinistra sapeva reagire. Oggi assorbe, ignora e banalizza. E considera come fascismi da combattere solo quelli che appartengono alle teche del passato, non quelli che appartengono alle vere sfide del presente.
Al direttore - Caro Cerasa, forse stanno maturando i tempi per l’ingresso di Israele nell’Unione europea. Cosa ne pensa?
Antonello Sassu
Magari.
Al direttore - Ho ascoltato D’Alema alla Festa dell’ottimismo. Il suo richiamo (più o meno esplicito) al partito come “moderno Principe” e il parallelo con il decisionismo di De Luca indicano la stessa via: rimettere la “direzione” politica al centro, anche a costo di comprimere il pluralismo. La Cina qui non è un modello: è un alibi retorico. La nostra crisi non nasce dalla troppa libertà, ma dall’incapacità della politica di operare “dentro” le regole della libertà. Il comunismo è un progetto storico chiuso; l’idea del partito-cervello che guida la società non può rifondare la democrazia. La libertà non è un mezzo subordinato all’autorità: è il fine. La crisi della democrazia e dell’occidente non si risolve guardando indietro a esperienze condannate dalla storia o a improbabili terze vie. Non lo so come se ne esca. E’ questa la crisi. Ci vuole però un po’ di ottimismo. Cordiali saluti.
Marcello Nicodemo