
(foto LaPresse)
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L'errore di celebrare san Francesco come se fosse santa Greta
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Caro Cerasa, inoltro a lei i complimenti per Maurizio Crippa; la sua nota su quanto accaduto l’altro ieri al Teatro Valli di Reggio Emilia è oggettiva e impeccabile quanto impressionante è il contenuto. Saluti.
Giuseppe Febbraro
Ormai il livello è questo. Se parli di ostaggi, sei un genocida. Se parli di Hamas, sei un criminale di guerra. Se parli di antisemitismo, sei un complice dei nazisti. Il campo largo ormai è un grande movimento 5 Albanese. Si salvi chi può.
Al direttore - Nella vittoria del centrodestra nelle Marche c’è un aspetto meritevole di considerazione. Nel condurre la campagna elettorale, Francesco Acquaroli non ha voluto approfittare delle vicende giudiziarie di Matteo Ricci. E ha vinto nettamente. Il sedicente campo largo in Liguria agì come un branco di iene nel caso di Giovanni Toti, benché fosse evidente la fragilità dell’inchiesta giudiziaria. E venne sconfitto.
Giuliano Cazzola
Al direttore - Torno sul caso Venezi perché mi pare che ormai non si possa più criticare una donna senza subire le solite accuse di misoginia o strumentalizzazioni di genere. Questa visione demagogica e infantile fa male alle donne e all’intelligenza delle persone.
Daniele Mosconi
La linea di Alberto Mattioli è quella giusta. L’unico modo per sfuggire alle accuse di amichettismo, comprensibili, è dimostrare di valere qualcosa. Su il sipario.
Al direttore - Elly Schlein ama spesso ripetere che “… resta testardamente unitaria…”. Anche dopo le elezioni perse nelle Marche, ovvio: testardamente unitaria, come chi si rifiuta di cambiare rotta, anche quando la mappa è sbagliata.
Alberto Bianchi
Il tema non è però il contenitore. Il tema è il contenuto. Il campo largo è necessario per provare a vincere contro il centrodestra. Ma il campo largo non è sufficiente per vincere. Capirlo prima di schiantarsi potrebbe essere utile.
Al direttore - Quando ho presentato la proposta di legge per reintrodurre nel nostro calendario civile la Festa nazionale di san Francesco d’Assisi, sapevo che qualcuno avrebbe potuto sollevare l’obiezione più immediata: “Un giorno festivo in più pesa negativamente sull’economia”. E’ vero, ogni festa comporta un costo in termini di pil ma i numeri sono importanti per evitare di cadere in polemiche sterili. Partiamo dalle coperture per lo stato: la Ragioneria ha calcolato un costo di 10 milioni di euro, non certo una cifra in grado di mettere in ginocchio un bilancio pubblico di circa 2.300 miliardi. E appaiono dunque risibili le accuse di chi vede una penalizzazione di altri servizi pubblici come la sanità o la scuola. La stessa perdita di pil viene nei fatti sterilizzata con un travaso dal settore industriale a quello dei servizi, soprattutto del turismo e del commercio. Ma la vera domanda è un’altra: la ricchezza di una nazione si misura solo con il suo pil? Credo che il punto decisivo non sia quello contabile. Con il voto quasi unanime della Camera, l’Italia ha scelto di riaffermare, attraverso san Francesco, una parte essenziale e inalienabile della propria identità: memoria, valori, radici spirituali e civili, cultura popolare e letteratura. Tornare a celebrarlo significa ricordarci chi siamo e, in un tempo in cui tutto sembra misurato solo in termini di efficienza, forse è questo il migliore investimento che possiamo fare.
Lorenzo Malagola, deputato FdI
Il pil conta, caro Malagola, ma forse ancora di più del pil conta, rispetto a questa festa per la quale abbiamo molte riserve, quello che ha scritto sulle nostre pagine Matteo Matzuzzi: “Le motivazioni addotte dal legislatore, più che celebrare il grande santo, un gigante della storia e della fede, celebrano la macchietta che negli ultimi due secoli è stata creata attorno all’uomo ‘che parlava al lupo e agli uccellini’”. Direi che celebrare san Francesco come se fosse santa Greta non è forse il modo migliore per ricordarci chi siamo. Un caro saluto.