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Lettere

L'indifferenza dei “nuovi Gandhi” per i crimini di Hamas

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ho cercato di immaginare Gandhi che chiede garanzie di protezione prima di partire per la marcia del sale, ma non ci sono riuscito.
Nicola Rossi

Ho cercato di immaginare i nuovi Gandhi desiderosi di portare un messaggio di pace universale e dunque desiderosi di portare sollievo al popolo palestinese trasformando la propria spedizione umanitaria in un grave atto di accusa nei confronti di chi ha trasformato Gaza nella culla di una tragedia quotidiana. Ho cercato disperatamente tra le immagini che arrivano dai nuovi Gandhi messaggi utili a identificare anche Hamas tra i responsabili del dramma di Gaza. Ho cercato disperatamente tra i reel che arrivano dalle imbarcazioni dei nuovi Gandhi messaggi di solidarietà per le altre vittime della guerra, gli ostaggi nelle mani di Hamas, ma non ci sono riuscito. Certamente per distrazione, non perché vi sia indifferenza da parte dei nuovi Gandhi nei confronti di chi a Gaza ha trasformato ben prima del 7 ottobre il terrorismo in un’arma politica legittima anche a costo di trasformare il popolo che si finge di rappresentare in uno scudo umano. 

 


    

Al direttore - Su Charlie Kirk. Potevano ammazzarlo ovunque ma l’hanno ammazzato in università. Coincidenza, fatalità, scelta strategica, non importa. Il simbolismo non sfugga. Nella maggior parte delle università, definirsi apertamente “conservatori” significa ancora oggi ridurre di molto lo spettro delle proprie relazioni sociali e scientifiche. Ammettere di non vedere un occidente cattivo-colonialista-oppressore in un mondo di vittime e sfruttati, non fare tana al fascismo dietro ogni angolo, definirsi “cristiani” o lanciarsi in un elogio dell’economia di mercato significa essere etichettati come “polemici”, “provocatori”, “bizzarri”, “freak” e vari altri aggettivi usati in queste ore dalla stampa progressista per raccontare Charlie Kirk. E’ sempre stato così, ma negli ultimi anni, dopo il Black Lives Matter e il 7 ottobre, c’è stato un gran salto all’indietro, che ci riporta direttamente ai tetri anni Settanta. “L’università, in una società governata dalla pubblica opinione, avrebbe dovuto essere un’isola di libertà intellettuale, dove tutte le opinioni venivano prese in esame e senza restrizioni”, scriveva Saul Bellow 40 anni fa. Poi però sono subentrate altre preoccupazioni. L’ascensore universitario faceva salire gli accademici solo toccando alcuni tasti. L’università veniva inondata da cause civili che col metodo scientifico o critico non avevano nulla a che fare e diventava – dice Bellow – “il magazzino concettuale di influenze spesso nocive”. Eccoci qui.
Andrea Minuz

“L’università non deve mai diventare un luogo di intolleranza, ma deve restare aperta a ogni ricerca della verità, anche quando questa mette in discussione le certezze del momento” (Joseph Ratzinger, 17 gennaio 2008).

 


 

Al direttore - Vorrei che esprimesse tutta la mia solidarietà alla giornalista Mariarosa Mancuso. Siamo oramai alla follia collettiva! Nessuno può minimamente commentare, criticare o non condividere questo assurdo movimento di solidarietà globale ai terroristi di Hamas e ai loro sostenitori. Non le dico nell’ambito scolastico: siamo tornati alla caccia all’ebreo, se solamente non si condanna, a prescindere, l’azione israeliana. Sono letteralmente allucinata nel vedere il sostegno dato a popoli che sviliscono le donne e vivono come nel 700 d. C., nei quali la signorina Greta non potrebbe manco parlare, mentre nessuno di costoro ha mosso un dito quando i ragazzi, che ballavano al rave, sono stati massacrati solo perché ebrei! Dove sono quelli che marciavano per il Bataclan messo a ferro e fuoco a Parigi? Ah, giusto, i morti non erano israeliani! E’ diventata una moda tentar di demolire chiunque non si schieri per una banda di filoterroristi, nel minore dei casi conniventi, che preferiscono vivere in un tugurio, ma accettano di scavare chilometri di tunnel come i topi. Chissà cosa avrebbe scritto la Fallaci… Povero occidente destinato a estinguersi, grazie alle sue stesse leggi liberali! Ci sono guerre in ogni dove, ma stranamente a questi personaggi, figli di papà, interessa solo il conflitto in medio oriente. E per concludere terminerei con il pessimo film che ha vinto il Leone d’argento. Credo si possano intravedere le crepe dell’impero romano che si sgretola. Spero tanto di non vedere come finirà. Ringrazio ancora la giornalista Mancuso per il suo coraggio in questi tempi bui. Complimenti!
Ps. Per quanto possa sembrare strano non sono ebrea, né sionista, né israeliana e nessuno della mia famiglia lo è. Ho solo un cervello razionale e critico.

Raffaella Toffoli

   


 

Al direttore - Sono un lettore del Foglio e in particolare dei Suoi articoli. Volevo complimentarmi per quanto da lei sostenuto sull’Europa e sulla presidente von der Leyen. Nell’essere in linea con le sue tesi faccio presente che tutti scaricano sull’Europa quello che, di fatto, non riescono a governare o risolvere a livello nazionale ma nessuno, che a me risulti, ha richiesto di uscire dall’Unione stessa. Cordiali saluti.
Maurizio Gattesco

 


 

Al direttore - Nel momento in cui la Nato viene colpita direttamente da Mosca – come dimostra l’incidente in Polonia – le cinque mozioni dell’opposizione di sinistra contro l’aumento delle spese militari al 5 per cento del pil appaiono non solo fuori tempo, ma profondamente irresponsabili. Mentre l’Alleanza atlantica cerca di rafforzare la propria capacità difensiva in un contesto di crescente aggressione russa, Pd, M5s, Avs, Italia viva e Azione si presentano in Parlamento con un mosaico di testi disarticolati, incapaci di offrire una visione comune o credibile. Alcune mozioni chiedono addirittura di recedere dagli impegni presi all’Aia, ignorando il fatto che la sicurezza collettiva non è un’opzione, ma una necessità. Altre propongono di dirottare fondi verso sanità e cultura, come se la pace fosse garantita da buone intenzioni e non da deterrenza credibile. In un momento storico in cui Putin testa i limiti dell’occidente, l’idea di indebolire la nostra capacità di difesa è una concessione mascherata da idealismo. La sinistra, invece di fare fronte comune per rafforzare la posizione dell’Italia nella Nato, si rifugia in slogan pacifisti e divisioni interne. Il risultato? Un messaggio ambiguo che rischia di isolare il paese e di minare la nostra credibilità internazionale. La sicurezza non si improvvisa, e il tempo delle ambiguità è finito.
Alberto Bianchi

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