le lettere

Salvare la politica dal ricatto mediatico-giudiziario. Se non ora quando?

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - L’Italia è uscita dalla Prima Repubblica persuasa che i partiti e le istituzioni politiche non dovessero essere riformati, ma rottamati e trasformati in appendici funzionali della piazza mediatico-giudiziaria.  Si è partiti dai cappi in Parlamento, dalle monetine all’Hotel Raphael e dalle piazze Venezia televisive in estasi sotto i balconi delle procure e si è arrivati, trent’anni dopo, al plebiscito sul taglio dei parlamentari, all’egemonia culturale dell’antipolitica e ad assortite distopie post-democratiche unite dal culto delle nozze mistiche tra popolo e potere e dal disprezzo per la natura intrinsecamente parassitaria della rappresentanza politica.  La cosiddetta immunità parlamentare fu tra i primi simboli dell’ancien regime costituzionale a cadere sotto i colpi della rivoluzione di Mani Pulite, in base al presupposto fanatico, più volte riproposto, che solo la mutilazione delle garanzie democratiche, come del resto di quelle giudiziarie, avrebbe potuto prevenirne l’abuso e impedire che i “cattivi” scampassero alla meritata punizione. In realtà, quella cosiddetta riforma non servì a impedire ai parlamentari di sfuggire ai processi, ma a consentire alle procure di giungere alla condanna coram populo degli indagati, sotto un cumulo di indiscrezioni infamanti, molto prima che qualunque processo o sentenza si incaricasse di confermarla o, più spesso, di smentirla.   Visto che tutte le politiche, comprese quelle costituzionali, si giudicano dalle conseguenze, oggi servirebbe iniziare ad ammettere che la retorica dell’onestà non ha propiziato un virtuoso ricambio della classe politica, piuttosto la costituzione di un mandarinato populista, che ha degradato la qualità e ulteriormente ridotto la rispettabilità delle istituzioni democratiche, trasformate in un teatrino del tumulto e della dissimulazione trasformistica. Una qualche forma di autorizzazione a procedere per gli eletti in Parlamento esiste praticamente in tutte le democrazie europee e non si può certo dire che avervi rinunciato abbia rigenerato la politica italiana. Da qualche giorno ha preso avvio la raccolta firme su un disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare, promosso dalla Fondazione Luigi Einaudi, che chiede di ripristinare l’articolo 68 della Costituzione nella sua formulazione originaria. E’ ora possibile firmare, anche online, sulla piattaforma pubblica digitale. 
E’ una provocazione? Sì. Provocatori cercansi. 

Carmelo Palma

  

Provocazione giusta. Che facciamo nostra servendoci delle parole che ci consegnò tempo fa, su questo tema, Luciano Violante. “Trent’anni dopo possiamo dire che nel 1992 non ci accorgemmo di un problema che oggi purtroppo risulta evidente, direi alla luce del sole. L’articolo 68, che impediva le indagini, venne riformulato per evitare che i partiti potessero continuare a usare l’arma dell’impunità per salvare i singoli, con il rischio dell’incremento della delegittimazione. Ma la delegittimazione non si è fermata, anzi si è passati dalla delegittimazione allo sgretolamento, lo sfarinamento di cui ha parlato Rino Formica. Non ci accorgemmo che il problema, all’epoca, non era quello di non salvare i singoli, o di dannarli; l’obiettivo avrebbe dovuto essere  il salvataggio  del sistema politico. Craxi lo aveva capito bene. E quando nel suo famoso discorso tenuto alla Camera il 3 luglio del 1992, in occasione della fiducia al governo Amato, disse che ‘nel vuoto tutto si logora, si disgrega e si decompone’ aveva ragione”. Pausa. “Doveva essere una riforma utile a restituire forza alla politica, ma è andata diversamente. Prima del 1993, le autorizzazioni venivano grosso modo sempre negate. Dopo il 1993, la politica ha scelto di passare da un’esagerazione a un’altra. Salvo rari casi i  partiti per un lunghissimo periodo non hanno più avuto  la forza di respingere le richieste della magistratura inquirente”. Se non ora quando?