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Lettere

Antifascisti di tutto il mondo: dove siete quando si parla di Putin?

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Sono ormai più di 35.000 (ma secondo il commissario ucraino per i diritti umani il numero potrebbe salire a 150.000; e addirittura 700.000 sono i numeri citati dalle autorità russe) i bambini ucraini registrati come deportati e trasferiti con la forza in Russia per essere esposti a indottrinamento e russificazione. La Convenzione Onu del 1948 esplicitamente riconosce questo fatto e lo equipara al genocidio. Il 17 marzo 2023, la Corte penale internazionale dell’Aia (Cpi) ha emesso un mandato d’arresto contro Vladimir  Putin e Marija  L’vova-Belova, la commissaria russa per i diritti dei bambini, accusandoli del crimine di deportazione e trasferimento illecito di minori (un crimine contro l’umanità). Se Putin mette piede in uno degli stati che hanno sottoscritto la Convenzione del 1948, dovrebbe essere arrestato. In realtà la cosa è assai complicata: è prevedibile che una simile decisione darebbe luogo a più problemi di quelli che intendere risolvere. E’ forse anche per questo, oltre che per guadagnarsi meriti a poco prezzo, che il Sudafrica si è impegnato a non applicare la decisione del tribunale dell’Aia. Ma strappare bambini e giovinetti dalle loro famiglie e dai loro affetti è un fatto odioso, che ci ripugna, indipendentemente dal suo riconoscimento giuridico e dalle sue conseguenze penali. Né l’arresto è il solo rapporto che gli stati hanno con lo zar di tutte le Russie. Ed è su questo punto che vorrei chiedere una riflessione. Quante volte ci si è ricordati di questa barbarie? Quante volte, sui giornali e sui social, è stato ricordato il crimine che viene compiuto, le sofferenze che vengono inflitte a bambini e a genitori? Crimine ideologico, ma nella sua vacuità ancora più odioso di quello commesso sui bambini vittime di bombardamenti, o usati come scudi umani dai terroristi. Ma di questo non si parla. Facciamo progetti per la ricostruzione dell’Ucraina: ma che almeno si dica una parola, e ci si impegni a far qualcosa, per la ricostruzione psicologica dei giovani che sono stati privati dell’affetto del padre, ed a cui è stato sradicato il senso di patria.
Franco Debenedetti

Antifascisti di tutto il mondo: dove siete quando si parla di Putin?



Al direttore - La sentenza con la quale la Corte costituzionale ha pesantemente modificato il regime sanzionatorio per i licenziamenti illegittimi effettuati dai datori di lavoro che occupano fino a 15 dipendenti, eliminando il tetto massimo di sei mensilità per l’indennità risarcitoria, suscita non poche preoccupazioni. Non è questa la sede per commentare in punto di diritto le motivazioni della sentenza, per stabilire se, ad esempio, il principio di uguaglianza cui i giudici della Consulta hanno fatto riferimento per determinare la cancellazione del tetto sia stato correttamente applicato, ovvero se i princìpi di difesa della dignità e libertà del lavoratore che la norma abrogata lederebbe siano stati adeguatamente ponderati in relazione alla libertà d’impresa e alla libertà del piccolo datore di lavoro di scegliere i propri collaboratori. E’ materia di giuristi del lavoro e di costituzionalisti, leggeremo con attenzione i loro commenti. Ciò che appare evidente è che gli effetti della sentenza, peraltro in assoluta controtendenza rispetto agli esiti del referendum del giugno scorso, saranno quelli di incrementare l’incertezza e il contenzioso, quindi i costi per le imprese. Qualcuno obietterà che si tratta di licenziamenti illegittimi. Attenzione, qui parliamo di licenziamenti la cui declaratoria di illegittimità, nella pratica, è molto spesso frutto di valutazioni discrezionali. Valutazioni che non tengono conto che in una micro-impresa il rapporto fra il datore di lavoro e i propri collaboratori è qualcosa di particolare, che si basa su un forte rapporto fiduciario. Quello che ci preoccupa è che questa sentenza rischia di scoraggiare la creazione di imprese e sembra ignorare che l’Italia registra un grave problema di demografia imprenditoriale. Contemporaneamente, rischia di frenare le assunzioni, in un momento in cui peraltro aumentano le difficoltà delle imprese a reperire personale. Meno imprese, meno occupazione, meno crescita, meno sviluppo, meno stato sociale: tutto ciò dovrebbe allarmare non soltanto il sistema imprenditoriale e la classe politica.
Marco Granelli, presidente  di Confartigianato

Meno flessibilità uguale meno lavoro. Meno lavoro uguale meno libertà. Grazie.