
Foto Ap, via LaPresse
lettere al direttore
Il dramma è che la guerra che conta, a Gaza, non è solo quella militare
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Rivelazione Anm: anche i magistrati possono cambiare idea.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Caro Cerasa, l’antisemitismo è un virus cronico della civiltà cristiana. Non c’è vaccino in grado di debellarlo, soprattutto quando l’organismo che lo ospita è debilitato e il sistema immunitario non produce anticorpi efficaci. Le immagini di dolore e di disperazione provenienti da Gaza hanno scavato un solco profondo tra lo stato ebraico, l’opinione pubblica internazionale e, da ultimo, i governi europei. A poco serve ricordare un dato incontestabile, e cioè che Hamas usa scuole, ospedali e abitazioni come scudi umani. A poco serve ricordare che era necessario sottrargli il monopolio della distribuzione degli aiuti alimentari (con la copertura dell’Unrwa), base materiale del suo potere. Una gestione a dir poco confusa del meccanismo che lo ha sostituito ha fatto passare la tesi che Israele sta deliberatamente affamando la popolazione della Striscia. Diciamoci le cose come stanno: il governo di Gerusalemme sta vincendo la guerra sul campo di battaglia, ma sta perdendo la guerra sul campo della comunicazione e della propaganda. Aveva altre alternative? Nel suo celebre “Guerre giuste e ingiuste” (1977), Michael Walzer sostiene che “quando si combatte un’organizzazione che si mescola con la popolazione, non si può semplicemente dire ‘ci dispiace per le vittime collaterali’. Bisogna riconsiderare i mezzi, anche a costo di qualche rischio maggiore per i propri soldati” (rubo la citazione a un interessante articolo di Gustavo Micheletti sul blog Inoltre). La domanda, che si fanno anche gli oppositori politici e militari di Netanyahu, allora è: una strategia più selettiva, basata – oltre che su operazioni di intelligence – su azioni terrestri mirate, non rafforzerebbe la posizione diplomatica e “morale” di Israele, riducendo nel contempo la radicalizzazione dei civili? La risposta non è scontata. Perché, se fosse affermativa, si chiederebbe a Israele di rispettare un imperativo etico che i suoi nemici non rispettano da sempre, e di pagare un costo altissimo in termini di vite dei suoi soldati. Israele può correre questo rischio, circondato com’è da decine di migliaia di terroristi e da decine di milioni di islamici che vogliono la sua distruzione? Un bel, anzi un brutto guazzabuglio.
Michele Magno
Amos Yadlin, ex capo dell’intelligence militare israeliana, due anni fa ha suggerito, con tempismo, una chiave di interpretazione preventiva della tragedia di Gaza. “Potremmo vincere tatticamente a Gaza, ma perdere strategicamente se perdiamo la guerra narrativa in occidente”. Due anni dopo, purtroppo, non è solo narrativa. E’ anche realtà. E se è vero, come sosteneva ai tempi della Guerra dei sei giorni Moshe Dayan, ex ministro della Difesa israeliano, che “quando Israele combatte sul campo combatte anche per conquistare i cuori e le menti del mondo”, si può dire che Israele dovrebbe comprendere che dramma sia non capire che la guerra che conta, a Gaza, non è solo quella militare. E’ anche quella che riguarda il raggiungimento di un obiettivo opposto a quello che sarebbe necessario in conflitti come questi: conquistare i cuori e le menti del mondo. E se la guerra è persa, da questo punto di vista, la colpa purtroppo non è solo legata all’abilità comunicativa dei terroristi di Hamas.
Al direttore - Caro direttore, anche oggi sulle pagine dei giornali non mancano ampi stralci di intercettazioni. Alcune delle quali nulla hanno a che fare con l’inchiesta milanese. Ma non era stata approvata una terribile legge bavaglio contro la quale avevano protestato molti giornalisti e il sindacato unico, con toni da tregenda e parlando di attacco alla democrazia e alla libertà di stampa? O forse mi ricordo male?
Enrico Sozzetti
Non c’è dubbio che sia così. Ma una buona notizia c’è: aver dato la possibilità, agli indagati, per i quali gli inquirenti hanno richiesto l’arresto, di essere interrogati prima di far esprimere il gip rispetto alla possibilità di dare seguito alla richiesta di carcere preventivo. E se questo è successo il merito è dell’interrogatorio di garanzia reso possibile dalla riforma Nordio. Non poco.