Foto Epa, via Ansa

lettere al direttore

Criticare la brutalità di Israele a Gaza non è antisemitismo

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Dobbiamo cominciare a dire e a scrivere, caro Cerasa, che nella Striscia di Gaza non è in atto un genocidio, ma una operazione militare speciale dell’Idf per liberare i palestinesi dall’oppressione di Hamas.
Giuliano Cazzola

Dobbiamo scriverlo, caro Cazzola, così come dobbiamo scrivere però che criticare la brutalità che a volte sembra senza orizzonte di Israele a Gaza non è antisemitismo: è semplicemente la fotografia di una realtà sempre più dura da accettare.

    


   

Al direttore - Dal sito Linkiesta di oggi: “Solo negli ultimi anni gli investimenti iraniani in accordi accademici e progetti di ricerca in Italia superano il milione di euro. L’Università del Salento ha stretto accordi con l’Università Allameh Tabatabai e la Shahid Beheshti di Teheran. Il Politecnico di Milano ha avviato collaborazioni con l’Imam Khomeini International University. La Sapienza di Roma mantiene dal 2009 un centro congiunto con partner iraniani. Anche le università di Firenze, Bologna e Torino risultano coinvolte in progetti che spaziano dall’ingegneria all’archeologia, dagli studi religiosi alla mobilità accademica”. Collaborazioni e accordi dei nostri atenei con le università iraniane. Di un regime criminale, terrorista, omicida, che imprigiona, tortura, assassina il suo popolo, impicca alle gru gli omosessuali. Risulta a qualcuno che gli atenei nostrani – pronti a sospendere i rapporti con Israele – abbiano fatto altrettanto nei confronti dell’Iran? Si ha notizia di comitati costituiti – sulla falsariga dei boycott Israel – per boicottare la patria degli ayatollah? O di presidenti di regione presi dal desiderio di sanzionare Israele, tipo Vincenzo De Luca, anelare con altrettanto ardore a sanzioni contro Teheran? Oppure di sindaci che si travestono da farmacisti e pronunciano fatwe contro i medicinali israeliani, essere altrettanto battaglieri contro i mullah atomici? Io non me ne sono accorto. Però resto tranquillo. Tutto questo non è mica antisemitismo.
Gianluca Del Zoppo

Saggia considerazione. Così come sarebbe saggio ascoltare cosa hanno scritto, pochi giorni fa, un gruppo di accademici e di ricercatori in un appello lanciato contro le mozioni di boicottaggio nei confronti di università e istituti israeliani che sono state promosse in alcuni atenei italiani. Tali iniziative, si legge, minano la libertà accademica, favoriscono la polarizzazione e possono alimentare forme latenti di antisemitismo, come evidenziato nel rapporto dell’Istituto Cattaneo. I firmatari chiedono giustamente al ministero dell’Università e alla Crui di riaffermare pubblicamente “il valore del libero confronto e il rifiuto di ogni discriminazione politica o identitaria”. Invitano gli atenei a garantire la tutela di studenti e docenti, indipendentemente dalla loro origine, e a non contrapporre l’università ad altre istituzioni dello stato. E ricordano come “i casi verificatisi all’Università di Torino nel maggio scorso, così come allo Iuav di Venezia e alla Statale di Milano, dimostrano come studenti e docenti – ebrei, israeliani o semplicemente impegnati nella difesa della libertà accademica – siano sempre più spesso esposti a esclusioni, intimidazioni e delegittimazioni”. Difendere i civili di Gaza è giusto e sacrosanto. Trasformare quella battaglia in una legittimazione dell’intifada globale è una follia. Aprire gli occhi, prima che sia troppo tardi. 

 


 

Al direttore - I dati sono il vero capitale del 21esimo secolo. Ma i più grandi archivi non sono solo nei data center delle Big Tech: sono nei nostri corpi. Per individuare le variabili genetiche che spiegano le malattie e permettono di sviluppare cure mirate, servono miliardi di dati, provenienti da milioni di persone. Le banche dati genetiche diventano così vere “biblioteche della salute”, fondamentali per trovare le soluzioni terapeutiche più efficaci. Per accelerare questi processi, che hanno portato ad esempio a dimezzare i tempi di selezione e arruolamento dei pazienti, si usano intelligenza artificiale e machine learning: strumenti capaci di analizzare migliaia di informazioni e individuare i fattori chiave per avviare una sperimentazione clinica. Una delle frontiere più promettenti è quella delle “copie digitali” dei pazienti, modelli basati sui dati clinici reali. Amgen lavora da anni in questa direzione. E’ fondamentale superare l’idea sbagliata che la ricerca farmacologica moderna sia “disumanizzante”. Al contrario, l’evoluzione scientifica valorizza l’unicità di ogni organismo e ascolta ciò che il corpo umano comunica. Una trasformazione non solo tecnologica, ma anche culturale.

Alessandra Brescianini
Medical Director di Amgen Italia