
Ansa
Lettere
Riuscire a criticare Israele senza sprofondare nell'antisemitismo è una delle sfide di oggi
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Il 6 maggio scorso è morto il politologo statunitense Joseph Nye, decano della John F. Kennedy School of Government presso l’Università di Harvard. E’ noto per aver coniato l’espressione “soft power” (il potere della persuasione, della cultura e delle idee), diventata popolare con le Amministrazioni Clinton e Obama. Il New York Times ha ricordato che negli ultimi mesi Nye osservava con sgomento la demolizione di strumenti fondamentali del soft power americano, come i programmi di assistenza medica e alimentare ai paesi stranieri o Voice of America, il servizio radiotelevisivo del governo federale. Oggi quello trumpiano forse non si può definire un “hard power” in senso stretto (potere della forza, economica e militare). Ma è comunque un potere nudo e crudo, simboleggiato dal disprezzo delle regole, dal primato degli affari con chiunque e senza andare per il sottile, dallo sguardo arrogante del maschio rude e della femmina armata. La verità è che questa sottospecie di hard power ha ancora una capacità di attrazione, seduce i cuori e conquista le menti anche di molti italiani e di molti europei. E questo è un bel problema.
Michele Magno
Il soft power è importante, naturalmente, e conta molto. Ma in una stagione in cui conta chi ha i muscoli, chi esercita la forza tradizionale, bisognerebbe capire che oggi parlare di soft power al posto dell’hard power significa semplicemente fuggire dai problemi reali ed esporre il fianco verso coloro che l’hard power lo usano con più disinvoltura di noi. Viva il soft power, dunque, ma solo quando l’hard power è già uno strumento consolidato, non come alternativa.
Al direttore - L’idea che ci sia del “divertimento” nella guerra che Israele combatte a Gaza, dove ancora sono tenuti in ostaggio vivi e morti rapiti il 7 ottobre, sarebbe ridicola se non fosse aberrante. Aberrante, esattamente come l’accusa del sangue che dal Medioevo attribuiva agli ebrei il piacere (il divertimento, vogliamo dire?) di bere il sangue dei non ebrei, soprattutto (indovina?) dei bambini. Possibile che tanti illustri e accorti commentatori non si rendano conto che riecheggia in quell’accusa rilanciata con tanta enfasi lo stesso ignobile spirito dei Protocolli dei Savi di Sion? Non solo assassini di bambini, ma assassini divertiti, questo sarebbero dunque gli ebrei. E’ terribile veder sprofondare nell’antisemitismo della peggior specie anche coloro che, nonostante tutto, ritenevo immuni dal quella eterna sindrome liberticida e omicida.
Nicoletta Tiliacos
E’ difficile trovare le parole giuste per decifrare quello che sta succedendo a Gaza. Ma il punto, qui, mi pare sia prima di tutto un altro: Israele si può criticare, naturalmente, anche senza aggiungere alle critiche un sopracciò di antisemitismo, anche senza creare un’equivalenza fra il terrorismo islamista e l’azione di Israele, anche senza trasformare i terroristi di Hamas in eroi della resistenza, anche senza arrivare a dire che l’antisemitismo in giro per il mondo è generato dalla guerra di Israele. Israele si può criticare, ci mancherebbe, come è giusto criticare quello che ha fatto l’Idf ieri a Jenin, che avrebbe potuto trovare soluzioni diverse dallo sparare in aria per allontanare i diplomatici europei finiti fuori dal percorso durante una visita in Cisgiordania. Ma riuscire a criticare Israele senza sprofondare nell’antisemitismo è una delle sfide di oggi. Riconoscere gli errori di Israele, quando ci sono, senza dimenticare per un solo istante che per far finire la guerra in medio oriente una via ci sarebbe: spingere l’intera comunità internazionale a chiedere, prima del disarmo di Israele, quello di Hamas.
Al direttore - Il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge che cambia il reclutamento dei docenti universitari. Bene che si cancellino le norme Anvur, che hanno generato una finta produzione detta scientifica finalizzata, esclusivamente, a ottenere l’abilitazione (cancellata) per partecipare, poi, a concorsi locali dove, a scegliere, sono rimasti i baroni. Male, di conseguenza, la seconda parte del disegno di legge. I dipartimenti universitari devono bandire concorsi solo per necessità e orientamenti didattici e, proprio per essere certi che sia così (e non perché hanno uno da piazzare), nelle nuove commissioni giudicatrici locali composte da cinque membri non ci dovrebbe essere alcun docente interno dell’ateneo (il nuovo disegno di legge, invece, lo prevede). Al suo posto, oltre ai quattro docenti esterni che assicurano le qualità del candidato, andrebbe nominato un membro del mondo delle professioni (dall’ordine dei medici, degli ingegneri, etc.) chiamato a valutare la propensione del candidato a favorire l’ingresso degli studenti nel mondo del lavoro. Perché, ricordiamolo, l’università deve preparare al mondo del lavoro e, solo in misura minore, alla ricerca.
Pierluigi Panza
Al direttore - Tra breve avremo a Garlasco l’assassino e l’assassino emerito.
Antonio Polito