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Lettere

La sinistra che sul lavoro combatte la precarietà togliendo i diritti

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa 

Al direttore - La Carta europea dei ricercatori, adottata dalla Commissione europea vent’anni fa, promuove condizioni di lavoro dignitose e sostenibili per valorizzare la figura del ricercatore nello spazio europeo della Ricerca. Tra i suoi princìpi, uno è diventato vincolante nei progetti “Doctoral Networks” delle Azioni Marie Sklodowska-Curie (Msca), che richiedono un contratto di lavoro o un contratto equivalente con piena copertura di sicurezza sociale, finanziato al 100 per cento dalla Commissione. Come evidenziato in una nota recentemente inviata alla commissione Cultura del Senato  con l’abolizione degli assegni di ricerca l’Italia ha perso l’unico strumento che, pur imperfetto, cercava di colmare il divario tra la raccomandazione europea e la normativa nazionale nella fase pre-ruolo. Questo strumento offriva un minimo equilibrio tra flessibilità e tutele. E’ quindi urgente che l’Italia si doti di una nuova forma contrattuale che permetta ai ricercatori vincitori di progetti Msca di reclutare i propri dottorandi, evitando così danni economici e reputazionali. Il nostro paese ottiene in media circa 85 milioni di euro all’anno da questi progetti, distinguendosi per qualità e competitività. Oltre all’urgenza, si tratta di un’opportunità per avanzare verso la “quinta libertà” evocata da Enrico Letta nel suo rapporto sul futuro del mercato unico: la libertà della conoscenza, che completi le quattro esistenti (merci, persone, servizi, capitali). Una libertà essenziale per sostenere la ricerca come motore di competitività e coesione sociale. Letta sottolinea la necessità di armonizzare i quadri normativi nazionali, soprattutto in tema di contratti per ricercatori, per favorire una mobilità senza ostacoli. E’ questa la base per un ecosistema europeo della ricerca davvero integrato. Un emendamento presentato dai senatori Mario Occhiuto ed Elena Cattaneo, in discussione al Senato nei prossimi giorni, risponde a questa esigenza. Sostenuto anche dai Lincei e dal premio Nobel Giorgio Parisi, introduce due figure contrattuali – una pre e una post doc – che recepiscono i princìpi della Carta e delle Msca, garantendo insieme tutele e flessibilità. Prevede anche che i ricercatori in formazione possano presentare progetti in autonomia: una condizione necessaria per la competitività internazionale dei nostri giovani. L’approvazione dell’emendamento sarebbe un passo decisivo per allineare l’Italia ai princìpi europei, rafforzando il futuro della ricerca nazionale.

Luisa Torsi, rappresentante nazionale Msca nel comitato italiano di Horizon Europe

Purtroppo, la sinistra, quando parla di lavoro, e parlo di sinistra perché la legge folle di cui stiamo parlando venne approvata nel 2022 dal governo rossogiallo, tende spesso a commettere un errore: considerare la flessibilità come un totem da abbattere, senza capire che nel mercato del lavoro, anche in quello universitario, la flessibilità è spesso il modo migliore per garantire un’opportunità di lavoro futura, anche nelle università. Nel caso specifico, poi, abolire le dotazioni come quelle degli assegni di ricerca sostituendole con contratti biennali con garanzie di lavoro subordinato non significa combattere la precarietà, ma significa il contrario. Significa creare contratti più rigidi, con tasse più alte, dato che in questi nuovi contratti vi sarebbe anche l’Irpef da pagare, e significa dare a chi sogna di entrare un domani nell’università in pianta stabile meno opportunità di oggi. E’ lo stesso tema che riguarda il Jobs Act: combattere la precarietà facendo di tutto per togliere diritti nello stesso momento in cui si afferma che i diritti si vogliono aumentare. Un altro capitolo dell’agenda Tafazzi.

 



Al direttore - Nel dibattito su Università e Ricerca si sta affermando una visione distorta: invece di lottare per più risorse, si propone di tornare a forme di lavoro meno tutelate e più precarie. Il contratto di ricerca è nato per essere coerente con la Carta europea dei ricercatori. L’emendamento Occhiuto/Bernini introduce invece un “incarico di ricerca” peggiorativo persino rispetto agli assegni Gelmini del 2010: senza concorso pubblico (in contrasto con l’art. 97 della Costituzione), privo di retribuzione contrattuale, con tutele previdenziali minime, senza ferie né malattia, e non assimilabile a un rapporto di lavoro subordinato. Per questo motivo, risulta anche incompatibile con i requisiti dei programmi europei “Marie Curie”, che prevedono contratti di lavoro pieni. Si tenta, con la scusa della scarsità di fondi, di far rientrare dalla finestra quelle stesse forme di precarietà che la riforma del 2022 aveva cercato di superare. Il contratto di ricerca può essere migliorato, e infatti sono stati proposti emendamenti per aumentare la flessibilità, ma non si può accettare di arretrare rispetto alla conquista fondamentale: un contratto subordinato con diritti e tutele, in linea con il resto d’Europa. Il ritorno alla “cassetta degli attrezzi” del precariato comporta tre rischi: infrazione europea, revoca delle risorse Pnrr e perdita di credibilità internazionale. C’è solo una vera criticità da risolvere: oggi non si possono assumere con contratto di ricerca i vincitori “Marie Curie” senza dottorato. Basterebbe una semplice deroga normativa. Ma il ministero ha dato parere negativo, svelando l’ipocrisia del dibattito in corso.

Francesco Verducci, senatore Pd, commissione Cultura del Senato e Alfredo D’Attorre responsabile Università del Pd