
Donald Trump (Ansa)
Lettere
Meno bambole per tutti. L'economia, il giocattolino di Trump
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Forse l’America è davvero pronta a riscoprire la virtù della sobrietà, ma a modo suo, e per ordine presidenziale. Mercoledì, durante una riunione di gabinetto, Donald Trump ha spiegato che le tariffe imposte sui beni d’importazione non sono un problema: i prezzi saliranno, certo, ma i bambini americani “avranno due bambole invece di trenta”. E’ una frase che sarebbe piaciuta a un monaco cistercense, e che il giorno dopo è stata persino rilanciata dal suo consigliere Stephen Miller, il quale ha assicurato in conferenza stampa che i genitori americani sono d’accordo: meno bambole, bambini migliori. La sobrietà imposta dal caro-dazi diventa così un principio educativo, una lezione morale, un ritorno ai valori autentici. Il paradosso è che una simile retorica – sul consumo eccessivo, sulla necessità di ridurre – era sempre appartenuta ad altri mondi. A Papa Francesco, per esempio, che in una delle sue encicliche più lette scriveva che “possedere troppo ci disumanizza”. A certi intellettuali progressisti. Persino a qualche conservatore old style. Ma mai a Trump. Mai prima, almeno. Non durante il suo primo mandato, quando difendeva le tariffe come strumento di potere, non di morale. E nemmeno oggi, a giudicare da come ha arredato lo Studio ovale al suo ritorno: ori ovunque, cornici barocche, velluti rossi. O da come si è rivolto agli elettori, martedì a Warren, Michigan: “Voglio rendere l’America di nuovo ricca”, ha detto, e non era una metafora spirituale. Eppure ora siamo qui: meno bambole per tutti. O forse per i figli degli altri. Perché viene il sospetto che gli americani poveri saranno i primi a comprarne due, mentre quelli molto ricchi continueranno a comprarne trenta – ma in versione deluxe. La vera questione, caro direttore, non è il numero delle bambole, ma la serietà della politica economica che ce le toglie, pretendendo di educarci mentre ci impoverisce.
Luca Rizzuto
Trump, qui delizioso, va detto, altro non voleva dire che i bambini americani non hanno bisogno di così tanti giocattoli. L’appello, poco americano in verità, contro il consumismo eccessivo potrebbe anche essere stimolante, utile per grandi riflessioni, se non fosse però che l’appello arriva proprio da chi ha trasformato le leve dell’economia americana in un giocattolino, utile a soddisfare i propri desideri infantili. Ottima la battuta di Karl Rove sul tema: mister Trump? No, mister Scrooge. Doll, baby, doll!
Al direttore - Vorrei spezzare una lancia, un po’ controcorrente, a favore di quel povero gruppo di ragazzi appena usciti da un centro sociale per gli sconfitti della storia, i Patagarri. Forse non abbiamo considerato quanti sforzi abbiano fatto per trovare una canzone palestinese, un brano tipico, tradizionale o storico. Purtroppo, non esiste. E forse era proprio questo che volevano dimostrare.
Enrico Cerchione
Al direttore - Tra qualche giorno sul nostro paese si accenderanno i fari di tutto il mondo per vedere quale segnale arriverà dalle urne. Un segnale che potrà essere di conferma di un processo riformista in essere oppure un segnale di mera conservazione se non addirittura di regressione. No, non mi riferisco all’esito del Conclave ma al referendum contro il lavoro voluto da Landini Maurizio and friends.
Valerio Gironi
Al direttore - Il Foglio ha dato giustamente spazio alle critiche rivolte ai Patagarri che, durante il Concertone del 1° maggio, si sono esibiti intonando lo slogan “Free Palestine” sulla musica di una melodia popolare ebraica “Hava Nagila” e invitando il numeroso pubblico a unirsi al coro. La nemesi della storia era però in agguato. Il Concertone era stato aperto dall’esecuzione corale di “Bella ciao”, un inno che nessun partigiano ha mai cantato (risale infatti al Festival di Spoleto del 1964) e che si avvale di una melodia yiddish del 1919.
Giuliano Cazzola