le lettere

Trump mette la retro all'America. Una domanda ai Patagarri

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Sono sempre stato un sostenitore del referendum fin da quando posso votare. In passato ho dato una mano nella raccolta firme e sono andato anche a quelle consultazioni che negli anni 2000 hanno registrato un tasso di partecipazione poco sopra al 20 per cento.  Ho però le mie perplessità (e condivido le riserve della Cisl) sui quesiti di giugno: credo che il problema del lavoro in Italia sia legato all’introduzione del salario minimo (che in Francia è di 1.802 euro), alla partecipazione dei lavoratori nelle imprese e a maggiori possibilità  più che a un ritorno al passato. Almeno due quesiti (licenziamento illegittimo e indennità) mi pare abbiano più a che fare con la giustizia riparativa che con il lavoro. Rimane poi la contraddizione di un sindacato promotore del ripristino dell’articolo 18 quando lui stesso, in forza della legge 108 del 1990, non è tenuto ad applicarlo e non lo fa. Sul quesito sulla responsabilità della ditta appaltatrice mi sembra un ulteriore carico “punitivo” verso il “padrone” a cui si chiede un surplus di responsabilità come affidatario. Non rischiamo un ulteriore freno burocratico? Anche qui le questioni su cui dovrebbe intervenire il legislatore mi sembrano siano più i bandi di assegnazione e i controlli di sicurezza. Rimane quello sulla cittadinanza, un tema complesso che va di pari passo con accoglienza e diritti e doveri dei nuovi cittadini extra Ue: può essere un referendum abrogativo a districare la matassa?
Daniele Piccinini 


Al direttore - Il dato non è definitivo, ma secondo le stime dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli gli italiani hanno speso l’anno passato circa 150 miliardi di euro nei giochi d’azzardo legali, e circa 40 nelle piattaforme clandestine. Per intenderci, è una cifra largamente superiore alla spesa sanitaria nazionale. Passando dal profano al sacro, da noi le scommesse su eventi religiosi, inclusa l’elezione del Papa, sono vietate per legge. Ma può un popolo festevole, ludopatico e creativo come il nostro scoraggiarsi per così poco? Ecco, allora, l’esplosione sui social media (in particolare su X, Facebook e Telegram) del Fantapapa, divertissement online con cui si prova a indovinare il nome del nuovo Pontefice, anche rinunciando all’ebbrezza della puntata con moneta sonante. All’estero, dove invece le scommesse non sono vietate, i più importanti bookmaker internazionali (l’inglese William Hill e l’americano Polymarket) hanno già raccolto somme considerevoli, dell’ordine di decine di milioni di sterline e di dollari. Due i nomi più gettonati al 30 aprile scorso: il cardinale Pietro Parolin (quotato a 2,50) e il cardinale filippino Luis Antonio Tagle (quotato a 3). Ma il Conclave, si sa, resta un evento molto imprevedibile, guidato da dinamiche (non sempre) spirituali e (sempre) diplomatiche che spesso sfuggono ai pronostici della vigilia. Poscritto: anche se non piacerà ai filoputiniani, ricordo che Parolin è stato forse l’unica eminenza ecclesiastica del Vaticano a riconoscere, in più occasioni, il diritto alla legittima difesa dell’Ucraina. 
Michele Magno

  

Avere certezze su Parolin è dura, anche perché il Parolin che usa parole sensate sull’Ucraina è lo stesso che ha lavorato in questi anni per dare alla Cina tutto quello che la Cina voleva e tutto quello che la Cina richiedeva (leggere Matteo Matzuzzi sul Foglio di oggi). Scommettere qualcosa, sul Conclave, è spericolato. Scommetterei invece su un altro tema, che non riguarda il Conclave ma riguarda un altro protagonista del dossier ucraino: Trump. Mettete insieme tutto. L’accordo sulle terre rare che Zelensky ha apprezzato, e con cui Trump può giustificare il suo impegno per l’Ucraina. La rimozione di un complottista come Mike Waltz. Il passo di lato progressivo di Elon Musk. Il passo indietro sui dazi. Il passo del gambero su Powell e la Fed. Scommettere sul futuro di Trump non è semplice ma scommettere sul fatto che per la prima volta da quando è tornato alla Casa Bianca Trump ha inserito la retro piuttosto che premere sull’acceleratore è invece possibile. Dita incrociate e ottimismo.



 


Al direttore -  Non si può più neppure sperare che il palco del Concertone del Primo maggio sia riservato a un messaggio condiviso sul lavoro e sui lavoratori. Anche quest’anno, infatti, qualcuno ha pensato bene di usarlo per prendere posizione sul conflitto in medio oriente. A farlo è stato il frontman dei Patagarri, che ha intonato lo slogan “Free Palestine” sulle note di “Hava Nagila”, canzone simbolo della tradizione ebraica. “Pensiamo che finché ogni popolo non sarà libero di autodeterminarsi e vivere in pace non potremo essere allegri”, ha dichiarato l’artista, invitando il pubblico a unirsi a lui nel motto pro palestinese. Un gesto che ha provocato la reazione indignata della comunità ebraica. “Appropriarsi della nostra cultura, delle melodie a noi più care, per invocare la nostra distruzione, è ignobile”, ha detto Victor Fadlun, presidente della Comunità ebraica di Roma. “C’è qualcosa di davvero sinistro, macabro, nell’esibizione dei Patagarri”. Ha ragione: l’appropriazione culturale è già discutibile in tempi normali. Ma usare una melodia ebraica per sostenere una causa che molti nella comunità percepiscono come una minaccia alla propria esistenza è un gesto che supera la soglia della provocazione.
Francesco Tarini

 

Suggerisco ai Patagarri un’altra storia, per un prossimo concerto. David Collier è un giornalista britannico che ha smascherato il legame tra un documentario della Bbc su Gaza e Hamas ed è stato preso di mira con atti vandalici. Mentre si trovava a Tel Aviv, la sua auto a Londra è stata danneggiata con una sostanza chimica corrosiva (la polizia sta trattando l’episodio come crimine d’odio a sfondo razziale). Collier aveva rivelato che il narratore 14enne del documentario era figlio di un ministro di Hamas, informazione omessa dalla Bbc, che poi ha ritirato il filmato e ha avviato un’indagine interna. Da allora, Collier riceve minacce quotidiane e denuncia un clima ostile per gli ebrei nel Regno Unito. Nonostante l’aumento della sicurezza, il caso è stato archiviato per mancanza di prove. Collier dice che preferirebbe lasciare il paese piuttosto che smettere di raccontare il conflitto israelo-palestinese. Bisognerebbe chiedere ai Patagarri perché parlare male di Israele ti permette di finire in prima pagina e perché parlare male di Hamas ti fa rischiare la vita.
 

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