Lettere

Da Corona a Di Battista, tutti insieme su Rete4. Cosa volere di più?

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - L’immaginario dialogo tra il “Politico” e il “Corporativo” pubblicato ieri dal Foglio solleva interrogativi di grande interesse, e il mio rispetto per Sabino Cassese sfiora la venerazione, quindi impiego tutta l’umiltà di cui sono capace per formulare qualche piccola obiezione alle riflessioni dei due archetipi. A partire dall’affermazione sommaria che fa da cappello all’intero pezzo: “E’ un settore che non conosce crisi, quello delle società di lobbying. Il loro fatturato è esploso”. (Magari fosse così. Sì, il mercato privato delle agenzie di lobbying e public affairs in Italia sta crescendo, ma sono numeri infinitesimi rispetto al peso che il settore ha in tutti i paesi europei, per non parlare degli Usa). La valutazione fuorviante si spiega qualche rigo oltre, quando Cassese stila “la grande carta geografica delle organizzazioni rappresentative di interessi… organizzazioni di categoria agricole, artigiane, delle piccole e medie industrie, del commercio, del terziario avanzato, dei professionisti, finanziarie, di assicurazione e di riassicurazione, bancarie, editoriali. Confindustria, Confcommercio, Confesercenti, Assoturismo, Confprofessioni, l’Unione dei rappresentanti dei tassisti italiani, Uritaxi. Nel settore dei balneari, qualche ulteriore decina di organizzazioni. Poi vi sono organizzazioni che includono soggetti pubblici, come l’Associazione nazionale dei comuni d’Italia, Anci…”. A questo punto è chiaro l’equivoco. Cassese non se la prende con le società di lobbying citate all’inizio del pezzo, ma con il decrepito impianto corporativo del sistema-Italia, di cui le associazioni citate sono parte fondante. E, non a caso, sono anche disinteressate o fieramente contrarie a  una moderna regolamentazione dell’attività di lobbying. Perché vogliono mantenere una privativa nel rapporto con le istituzioni, non vogliono apertura e trasparenza del sistema. Al contrario, una valorizzazione e una piena emersione delle attività private di lobbying e public affairs sarebbe il vero affrancamento del sistema-Italia dalla morsa corporativa (peraltro sempre meno funzionante – pensa che paradosso – se è vero, come è vero, che le associazioni citate, nate per tutelare interessi di categoria, si rivolgono sempre più spesso ad agenzie private di lobbying per farsi valere!). E darebbe – forse – una mano ad affrontare l’altro grande tema posto nel dialogo di ieri, cioè quello della riforma della politica. Anche i partiti – forse – potranno tornare a essere filtri delle istanze della società, ma solo se usciranno dall’autoreferenzialità del rapporto con le corporazioni, dalla logica dei tavoli ministeriali, dall’illusione della rappresentanza strutturata di intere categorie. In sintesi: il mondo in cui viviamo è libero, mobile, colorato e cangiante. Per un tassista o un balneare che si lega a filo doppio a un notabile di partito, ce ne sono cento che si fanno i fatti loro e votano come gli pare. La rappresentanza degli interessi sarà sempre necessaria, ma le battaglie saranno vinte da chi saprà portarle avanti con spirito innovativo e fantasia, intrecciando i piani dell’attività di lobbying con quelli della comunicazione, della psicologia sociale, delle più svariate attività di advocacy. Per questo, caro e stimatissimo professore, i due archetipi del dialogo di ieri ho l’impressione che siano entrambi – come dire – un po’ datati.
Claudio Velardi

Risponde Sabino Cassese. Come dar torto a Velardi? A me sembrava di aver detto proprio questo. Che alcune organizzazioni internalizzano la funzione, altre la esternalizzano, facendo capo a strutture professionali. Che vi sono intrecci nuovi. Che non sono gli archetipi, ma la realtà che è datata. Capisco che un dialogo tra due personaggi, estremizzando le posizioni, possa indurre il lettore a estremizzare a sua volta le due posizioni, facendole apparire dei manichini. Un grazie di cuore a Velardi per l’attenzione.


 

Al direttore - Caffè, in centro, zona Palazzo. Barista prima silenzioso, poi forse vede giacca e cravatta e azzarda: “Ma sto Mes?”. “Dopo l’estate”, faccio, “ma è la ratifica di un Trattato, non è che dobbiamo utilizzarlo”. “Nun me fido”, replica sornione, “è un cappio al collo”. “Ma no, piuttosto una ruota di scorta che puoi utilizzare solo se vuoi o sei in difficoltà”. Poi contropiede mio: “Tanto volete rimanere a lungo al potere, giusto?”. Mi guarda, allarga il sorriso e si scopre il petto: cavezza con croce celtica. Né Usa, né Urss, terza posizione. Bar condicio, insomma.
Filippo Sensi



Al direttore - “Alla mia età mi accontento di poco. Oggi, per esempio, mi basta sapere che le ospitate di Orsini, Travaglio, Di Battista e di tutti i tifosi di Putin non saranno più pagate con i soldi del mio abbonamento alla Rai”. Così ieri su Twitter Sebastiano Messina, giornalista di Rep. Posso dirlo? Sottoscrivo.
Andrea Artoni


Tra l’altro non vedo cosa ci sia di strano nel vedere, sullo stesso canale, tutti insieme, Bianca Berlinguer, Mario Giordano, Alessandro Di Battista, Mauro Corona, Alessandro Orsini e Daniele Capezzone. Peccato solo che Gianluigi Paragone sia già troppo impegnato.

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