(foto Ansa)

Lettere

Lagnarsi, il passpartout italiano per accedere a ogni discussione

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - La Colombia della pace.
Giuseppe De Filippi


 

Al direttore - Si sente un po’ da tutte le parti. Nell’intervista dell’uomo politico di primo piano; nel discorso ben calibrato dell’economista che interviene in un talk-show; nel linguaggio tagliente del sindacalista che attacca le riforme appena varate dal governo. “In questo paese” è una formula ormai rituale che designa l’area geografica cui fa riferimento una certa narrazione. Ad esempio, quando si vuol puntare il dito sul vuoto nella pianificazione delle misure necessarie a contrastare il rischio idrogeologico. Oppure si mette in evidenza la forte regressione del consenso elettorale a sinistra. “In questo paese” ritaglia con enfasi il luogo in cui si addensano gli strali contro il fenomeno degenerativo riscontrato o temuto. Ma cosa c’è che non va? Si potrebbe domandare. I modi espressivi degli italiani cambiano in continuazione e non dovrebbe scandalizzare una locuzione che non è più semplicistica ed evasiva di tante altre che fioriscono nei discorsi di tutti i giorni. Se però si guarda agli usi linguistici del passato prossimo, non ci si può sottrarre a un senso di triste meraviglia. Fino a un decennio fa, tutti descrivevano situazioni critiche della società in cui viviamo collocandole senza esitazione “nel nostro paese”. Era un parlare con slancio affettivo con cui si mostrava di avere i piedi ben piantati sull’italico suolo, anche quando si analizzavano criticamente certi aspetti del vivere sociale. Veniva così in evidenza una esplicita dichiarazione di appartenenza e di coinvolgimento di tutti coloro che vivono nella Penisola e la amano. E affiorava, in modo appena percepibile, una condivisione quanto meno dell’impegno a condurre il paese verso lidi più sicuri. Invece nella variante espressiva ora di moda si discorre di esondazioni dei fiumi o di crescita del debito pubblico assumendo più o meno la posizione del marziano precipitato su una terra di cui non può e non vuole condividere le perigliose sorti. Ci vuol poco a capire da dove viene la retorica del distacco. E’ stato il vento che soffia sull’Atlantico da New York verso l’Europa a spazzar via il prezioso aggettivo “nostro” che esibiva il pathos della comunicazione. “In this country” è una forma verbale ripetuta all’infinito in tutti i contesti dagli americani. Forse per far intendere che la nazione in cui essi vivono è diversa da quella da cui sono partiti i loro padri per sbarcare negli Stati Uniti. E così da noi, per dirla orecchiando il poeta, “la favella anglicana che è si sciocca” in bocca a chi vuol replicare senza criterio la lingua d’oltreoceano induce a tagliare le radici della propria identità nazionale, racchiuse nell’illuminante aggettivo “nostro” per consegnare  alla riflessione di chi ascolta un risvolto critico  della vita sociale come se quel discorso fosse scritto su un foglio affisso alla bacheca di un palazzo senza nome che ostenta una incolmabile lontananza dalle vicende raccontate. Difficile rimuovere questo precipitato di esterofilia linguistica che vive e si sviluppa persino nel tempo presente in cui la maggioranza politica promuove il culto della nazione. Al pari di altri modi comunicativi, prelevati avventatamente dall’inglese, come il buffo “assolutamente sì o no”, il barbaro “da remoto” e l’implausibile “cari tutti”, anche la asettica locuzione “in questo paese” è destinata ad arricchire la galleria degli orrori linguistici generati dalla idolatria del parlare alla maniera di chi vive sulle rive dell’Hudson o sulle colline della incantevole costa californiana.
Ennio Amodio

Personalissima e non esaustiva hit parade degli orrori linguistici. “Scomodo” (soprattutto quando lo si usa per se stessi). “In pratica” (lo è o no). “Infatti” (se lo usi troppo significa che sai che non stai facendo il massimo per dimostrare quello che vuoi dimostrare). “Più o meno” (è più o meno?). “In un certo senso” (è in un senso o no?).  “Controcorrente” (se devi affermare che qualcosa è controcorrente vuol dire che quella cosa non lo è abbastanza). Quanto alla retorica del distacco aggiungo un elemento in più: la vocazione alla lagna ha trasformato il nostro paese, stavo per scrivere “questo paese”, in un paese in cui lagnarsi diventa un passepartout per accedere facilmente a ogni discussione. Ma dato che noi siamo scomodi, e in pratica controcorrenti, in un certo senso potremmo dire che infatti siamo più o meno sicuri che la risposta a questi problemi è una: ottimismo, oh yes.

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