Foto LaPresse 

Lettere

Il diabolico piano di Salvini per il Viminale. Saviano come Ronaldo

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Le mamme di Mariupol hanno deciso di non scrivere più al prof. Alessandro Orsini perché non ne azzecca una. D’ora in poi si rivolgeranno, per gli oroscopi sulla guerra, a Paolo Fox.

Michele Magno

 


Al direttore - Caro Cerasa, sono preoccupata per Roberto Saviano. Lo vedo dovunque. Intervistato in televisione. Intervistato sui giornali. Intervistato alla radio. Vedo che ogni tanto scrive delle rubriche su Sette, il settimanale del Corriere della Sera, ma non vedo mai la sua firma sul giornale che lo ha ingaggiato, il Corriere. Non che sia una mancanza enorme, almeno per me, ma mi chiedo se per caso Urbano Cairo non abbia scelto di far fare a Saviano la stessa fine che ha fatto Cristiano Ronaldo al Manchester United. Un cordiale saluto.

Emma Martini

Scommetto in una cessione imminente. Non di Cristiano Ronaldo.

 


Al direttore - Una crisi diplomatica con la Francia, negli stessi giorni in cui l’Italia avrebbe bisogno della Francia per cambiare il Patto di stabilità. Mi chiedo se il governo ci faccia o ci sia.

Mauro Tabelloni

E’ evidente che in atto vi sia un diabolico tentativo di Salvini, con qualche chance di successo: dimostrare che avere un ministro dell’Interno peggiore di quello che ebbe l’Italia nel 2018 non è un’impresa impossibile (vedi alla voce Matteo Piantedosi). In ogni caso, a proposito di cortocircuito, interessante la posizione di Marine Le Pen. Sentite cosa ha detto ieri: “La nostra politica di fermezza è l’unica a poter impedire di rischiare la vita per raggiungere il nostro continente. Dobbiamo rifiutare di essere complici dei trafficanti e rifiutare che l’Ocean Viking sbarchi in Francia”. Dove si dimostra che il nazionalismo, specie per un paese come l’Italia, non è compatibile con la difesa dell’interesse nazionale. Sull’immigrazione la storia è sempre la stessa: meno muri, più Europa.

 


Al direttore - Caro Cerasa, bisogna riconoscere a Goffredo Bettini che tra il suo libro e le varie interviste che dispensa è riuscito a dare l’immagine plastica dell’attuale situazione della sinistra e cioè quella di uno stato d’animo e niente più.

Valerio Gironi

 


Al direttore - L’industria finanziaria sta all’economia reale come il sistema sanguigno al corpo umano. Non solo la finanza contribuisce al pil e all’occupazione in modo fondamentale ma, se ben regolata, protegge il risparmio e consente alle imprese di crescere. La disponibilità di fonti di finanziamento diversificate è fondamentale per la competitività del paese e, tra queste, la Borsa è essenziale per ridurre il costo del capitale in un periodo come questo.  Tra le sfide che il nuovo governo affronta in questo cruciale settore vi è però la possibilità di rendere il sistema più semplice, efficiente e competitivo, a costi sostanzialmente nulli e, naturalmente, garantendo la tutela del risparmio. Il clima non è sfavorevole: negli ultimi mesi si è sempre più compreso un deficit di competitività dell’Italia, che si è manifestato, ad esempio, con la preoccupante emigrazione di alcune nostre importanti imprese verso la Borsa di Amsterdam, mentre altri paesi attraggono più dell’Italia fondi d’investimento, intermediari e operazioni di emissione anche collegate al nostro paese. Molteplici le ragioni: fisco, burocrazia, giustizia lenta, ma certo anche una disciplina di settore pesante, che spesso prevede obblighi e responsabilità persino aggiuntivi rispetto a quelli europei e prassi di supervisione onerose. Il pericolo di questa competizione – non sempre leale – tra stati è che il nostro mercato si impoverisca, mentre la migliore protezione per clienti e risparmiatori sta proprio in un mercato liquido, dinamico, in cui scegliere tra servizi e investimenti alternativi. La concretezza di questi rischi ha recentemente e finalmente portato istituzioni e privati a un nuovo impegno verso una ragionevole semplificazione: Consob e Borsa italiana, ad esempio, hanno parzialmente alleggerito le regole su prospetti e quotazioni, il Mef ha prodotto un Libro verde con proposte di riforma condivise dalle associazioni di categoria, eccetera. Passi nella giusta direzione, ma c’è molto altro che si può e si deve fare a livello sia nazionale sia europeo. Sul primo piano, la legge fondamentale della finanza, il Tuf, è del 1998. Si sono stratificate norme, spesso di fonte europea, che lo hanno complicato e reso poco organico. Sarebbe ora di un bel check up ispirato all’obiettivo di rendere i mercati italiani più competitivi e attraenti, anche alla luce dell’esperienza pratica di oltre vent’anni. In Europa, poi, sono in discussione importanti progetti normativi su quotazioni, servizi di investimento, tutela dell’investitore. Anche qui serve una strategia ampia per semplificare senza ridurre le tutele dei risparmiatori, avendo però chiare specificità ed esigenze del mercato italiano. Confidiamo che queste questioni, strategiche, abbiano posto rilevante nell’agenda politica. 


Marco Ventoruzzo, presidente di Assosim
 

Di più su questi argomenti: