E il terzo polo? Qualche dubbio di Giorgio La Malfa

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ho apprezzato il giudizio di Giuliano Ferrara  sui repubblicani e sui liberali del Dopoguerra  che, tra le forze laiche,  avevano una posizione che “consentì loro di influire sul degasperismo e sul centrosinistra”. E concordo con la sua conclusione che, in un sistema elettorale maggioritario, non c’è spazio per protagonismi narcisistici.  O si sostiene una coalizione o l’altra.  Per questo motivo non sono assolutamente d’accordo che in questa circostanza i  repubblicani si schierino con il cosiddetto terzo polo come avrebbe deciso ieri la loro Direzione. Durante tutto il Dopoguerra la collocazione internazionale dell’Italia in Europa e nell’occidente è stata la discriminante fondamentale. Lo sviluppo economico che ne è seguito e che Draghi sembrava avere rimesso in moto era ed è strettamente collegato a quella collocazione. La coalizione di destra degli on. Meloni, Salvini e Berlusconi rimette oggettivamente in discussione quella collocazione, con tutte le conseguenze che ne seguiranno. Questa è la ragione delle perplessità che circolano nel loro stesso  elettorato e che ha portato alla fuoriuscita di molti dei loro esponenti. Poiché si tratta di decidere del futuro dell’Italia votare per i terzi o quarti poli non è la risposta – docet Weber – direbbe Ferrara.  Ecco perché va sostenuto  pienamente il centrosinistra. Ed è quello che intendo fare.
Giorgio La Malfa

 
Tutte le strade per un bis del modello Draghi non saranno percorse invano. 


   
Al direttore  - Caro Cerasa, relativamente al Pnrr si continua a parlare di “impegni di spesa, programmazione, bandi, aggiudicazioni, allocazione di risorse, progettazioni, commissari, governance” ma nessuno dice quanti cantieri sono stati effettivamente aperti, cioè quanti lavori sono stati consegnati, e soprattutto quanti sono stati contabilizzati. Tutto il resto è politica elettorale, la peggiore, atteso che sono trascorsi oltre due anni da quando l’Europa ci ha assegnato i fondi del Pnrr.
Edoardo Bianchi
imprenditore edile


 

Al direttore - Come non sa distinguere un lampeggiante di ordinanza, garantito dal ministero dell’Interno, con un agente di scorta, dal faretto “abusivo” di Alberto Tomba, così Massimo Minini, che pure ha molto frequentato l’arte contemporanea, mostra di non capire che, nella polemica su Evola, non c’entra nulla la buona o la cattiva pittura. I pittori moderni,  a partire dalle avanguardie, sono spesso “cattivi”, ma non si giudicano per la loro preparazione accademica, bensì per le loro idee. E, su questo, il modesto Demetrio Paparoni ha inquinato le acque, pretendendo, come molti entrati nella questione, di giudicare l’idea della pittura astratta di Evola, tra il 1915 e il 1921, con le posizioni del medesimo, nel 1937, sulla difesa della razza, della quale nessuno si era preoccupato in Italia fino a quel momento, durante il fascismo, e figuriamoci prima. Tant’è che il podestà di Ferrara (dal 1926 al 1938), Renzo Ravenna, grande amico di Italo Balbo, era ebreo. L’incompetenza di Paparoni e di altri è proprio nel giudizio sulla pittura, con il vizio della posizione politica: di un antifascismo pretestuoso e di maniera. Arrivando ad auspicare una mostra con altri e meglio dipinti quadri di Evola, che non esistono, perché la mostra del Mart, curata con il massimo impegno da Beatrice Avanzi e da Giorgio Calcara, è la più completa mai fatta, e altri quadri non si conoscono. Dispiace l’ironico, e anche affettuoso, vaneggiare di Minini su Evola perché, avendo egli proposto (e noi insieme a lui realizzato, proprio al Mart) una mostra su “Arte ed Eros”, con opere di Pierre Klossowski,  si è messo nell’angolo da solo. Perché infatti Minini ha voluto una mostra su Klossowski? Per le sue idee, per la letteratura. Non certo perché era un pittore notevole. E’ evidente a tutti, con il metro dei nostri critici neoaccademici e neomelodici, che Klossowski è un cattivo disegnatore, e che esprime una sua ossessione, di indiscutibile interesse. Per  capire che non sa disegnare basta confrontarlo con suo fratello: Balthus. Non si giudica Klossowski con il metro della qualità pittorica, ma della tensione psicologica. Lo stesso vale per Evola che, con i suoi lampeggianti di ordinanza, si esprime, con evidente coerenza, nell’ambito dell’astrattismo e del dadaismo. O Minini vorrà applicare il principio della buona pittura anche ai dadaisti? Dispiace, perché dovrebbe iniziare a fare le pulizie nel mondo della cattiva critica. D’altra parte, si preoccupa di un confronto, non impossibile ma inutile, fra Luciano Ventrone e Giulio Paolini, diversamente concettuali, non pittori. Ognuno sta bene a casa sua. A meno che, invece che sul piano antropologico, non si vogliano valutare  gli uomini dall’arredo delle loro case.
Vittorio Sgarbi

 

Risponde Massimo Minini. Sgarbi risponde ad alcune mie osservazioni sulla querelle generata dalla mostra di Evola al Mart di Rovereto, incluse le favolette sul faro blu e le pulizie. E’ chiaro che si tratta di invenzioni per alleggerire il tono del dibattito. Mi piace divagare. Comunque il combinato disposto delle due mostre pone sul tavolo interessanti problemi. Vittorio trova che sarei caduto in contraddizione: approvo la cattiva pittura di Klossowski da un lato e disprezzo dall’altro quella di Evola. Minini si contraddice! Due pesi e due misure. Ma non è così: le due “brutte” pitture non sono comparabili. Klossowski è un grande intellettuale colto, inserito nel gran mondo (anche mondano perché no). Lui è il Savinio francese e sta a Balthus come  Savinio stava a  De Chirico. Lui frequenta la bad painting e la domina, direi addirittura che la inventa. Evola invece non riesce a uscire dal limbo, vorrebbe dipingere meglio ma non è dotato, non gli riesce proprio. Gli escono dal pennello dipinti incerti, geometrie insicure dai contorni traballanti, un po’ grossier. D’altronde anche nella scrittura che differenza fra i due! Le teorie sexerotiche di uno contro le farneticazioni postnazi dell’altro. Il merito di Sgarbi e del Mart è che ci porgono opere e mostre altrimenti mai viste e ci dicono: “Attenti a tutto questo”, ci mettono in guardia. Dopodiché ognuno giudichi, se è in grado di farlo, comparando le situazioni. Non siamo obbligati a digerire tutto. Anche una mostra di un medio artista può risultare molto utile in quanto stabilisce il livello minimo di qualità. Ed è questo “poco” che ci permette di capire quanto invece sia importante il “tanto” di altri. Insomma viva Evola e Sgarbi che, senza volerlo forse, ci permettono di  costruire paragoni  che ci aiutano  a capire meglio certi passaggi.

 
Scrivevo che dopo Raffaello, toccata la vetta, la pittura “scende” per li rami fino ai nasoni dei Sancarloni che ogni parroco si vide appioppare all’epoca. Ecco, Evola è il Sancarlone del futurismo. Si può costruire una “bella” mostra con “brutti” lavori?  Sì, miracolo, ora sappiamo che si può: da oggi il Mart diventa Smart.