Il ritratto di Machiavelli di Santi di Tito fu dipinto dopo la morte dell'autore e si trova in Palazzo Vecchio a Firenze 

Machiavelli e quel che manca ancora a Draghi per cambiare l'Italia

Le lettere al direttore del 11 novembre 2021

Al direttore - Ferragni: ora un congresso!
Giuseppe De Filippi

  
Urge un piano pandemico anti influencer!


  
Al direttore - Ma il 14 novembre il brindisi per il procuratore che va in pensione lo fanno in viale Ungheria?
Frank Cimini

 

Spiritoso. Ci sarà da festeggiare, a Milano e nelle altre procure che si ritroveranno con nuovi capi, solo a condizione che il Csm, insieme con il presidente della Repubblica, riesca a resistere alla carica della Gratteri Associati. Urge vigilare. Con qualche brivido. 


  
Al direttore - Ho scoperto che nella giornata di martedì l’Economist ha organizzato un prestigioso convegno in Italia per parlare del futuro dell’economia. Invitati. John Hooper, corrispondente dall’Italia per l’Economist. E ok.  Alessandra Perrazzelli, vicedirettrice generale di Bankitalia. E ok.  Alessandro Terzulli, capo economista di Sace. E ok. E in rappresentanza del governo, rullo di tamburi, Manlio Di Stefano, grillino, sottosegretario di stato agli Affari esteri e alla Cooperazione internazionale. AAA: cercasi con urgenza advisor per l’Economist per capire qualcosa sull’Italia.
Sandra Perroni

 
Vero. Ma mesi fa, ad aprile, quando Draghi è arrivato al governo, l’Economist ci ha visto giusto invitando alla prudenza. Non rispetto alle capacità immense di Draghi ma rispetto alle capacità che può avere un premier a tempo di cambiare tutti i meccanismi incrostati di un paese. E nel farlo, in quell’occasione, l’Economist ha ricordato l’esortazione finale di Machiavelli ai Medici e ha ricordato in particolare il capitolo conclusivo del “Principe”: “E benché fino a qui si sia mostro qualche spiraculo in qualcuno, da potere iudicare che fussi ordinato da Dio per sua redenzione, tamen si è visto da poi, come, nel più alto corso delle azioni sue, è stato dalla fortuna reprobato”. Sintesi estrema. “Quelli ‘scelti da Dio per la redenzione dell’Italia’ erano spesso invece ‘rigettati dalla fortuna’ – scriveva Machiavelli – Coloro che cercano la salvezza oggi possono restare delusi”. Conclusione finale: per cambiare l’Italia non basta Draghi, serve qualcuno che, con urgenza, gli dia una mano.


  
Al direttore - Si può, sommessamente, suggerire di fare attenzione e coltivare una radicale prudenza (è meno ossimoro di quanto può apparire): le isterie e le esasperazioni dei No vax organizzati mirano proprio a creare le condizioni che poi potranno in qualche modo “giustificare” le loro isterie ed esasperazioni. Una strategia che rischia di ottenere risultati e conseguenze che non saranno loro a pagare.
Valter Vecellio


 
Al direttore - Giorni fa, ho letto con interesse un editoriale di Michele Ainis pubblicato da Repubblica, nel quale il professore esaminava nel dettaglio l’ipotesi di un’elezione dell’attuale presidente del Consiglio dei ministri a presidente della Repubblica.  Non mi tornano, tuttavia, alcuni passaggi. Siccome è vero, come dice Ainis, che non è possibile essere allo stesso tempo l’uno e l’altro, non mi spiego come sia possibile che il governo Draghi resti in carica senza dimissioni, ma con la mera supplenza (leggasi in realtà surroga) da parte del ministro più anziano. Si tratta di un’interpretazione, a mio avviso, errata, fondata su una lettura impropria dell’art. 8 della l. 400/1988, del tutto incompatibile con la nostra forma di governo (infatti, l’esempio di Gioberti fatto da Ainis risale a un’epoca precedente allo sviluppo del parlamentarismo). L’eventuale elezione di Draghi renderebbe, quindi, necessarie le dimissioni sue e del governo da lui presieduto. Pertanto, non potrebbe esservi alcuna surroga, ma dovrebbe semmai procedersi, prima dell’accettazione dell’incarico e al giuramento davanti al Parlamento in seduta comune, alla nomina di un nuovo presidente del Consiglio da parte del presidente della Repubblica uscente. Il nuovo governo potrebbe poi presentare le proprie dimissioni (di cortesia) nelle mani del nuovo presidente della Repubblica, una volta che quest’ultimo si sia insediato. A questo punto, Mario Draghi si potrebbe limitare a respingerle oppure (assai più difficilmente) a chiedere una verifica sulla sussistenza della maggioranza parlamentare a sostegno del governo nominato dal suo predecessore. In ogni caso, l’art. 8 della l. 400/1988 è pensato per casi di assenza o impedimento temporaneo del presidente del Consiglio dei ministri, non certo per casi di sua elezione ad altra carica, nel qual caso quest’ultimo verserebbe in una condizione di incompatibilità tale da rendere necessarie le dimissioni sue e dell’intero governo. Del resto, i governi nascono e muoiono nelle mani del presidente della Repubblica sulla base delle indicazioni delle maggioranze parlamentari, non certo a Palazzo Chigi.
Giovanni Boggero
Università degli Studi di Torino