Il ddl Zan bocciato e il gran parlare, a vanvera, che se n'è fatto

Le lettere al direttore del 2 novembre 2021

Al direttore - Ho 47 anni, l’età in cui mio padre smise di capire come funzionava il videoregistratore. In gioventù è stato un grande consumatore di tecnologia, ma poi a un certo punto non ha avuto più voglia di capirlo, come funziona un Vhs. Lo stesso sta succedendo a me. Non capisco come si usa una smart tv. C’è un’età, biologica o percepita, in cui smettiamo di interessarci di alcuni aspetti della vita, ritenendoli secondari, capita a tutti. Mio padre però non è un giornalista e nello specifico non un giornalista di tecnologia, quindi non avrebbe mai scritto recensioni di televisori e telecomandi non capendone niente (né lo farei io, ma se fossi costretto studierei un po’ la complessa questione). Mi è venuto in mente leggendo gli articoli di questi giorni in cui la maggior parte dei commentatori si sono cimentati sulla bocciatura del ddl Zan con un atteggiamento da No Vhs. “Non so bene cosa sia questo gender ma non mi piace”, è il tono generale dei commenti, “non l’abbiamo capito”, “ho scoperto l’esistenza della parola ‘cis’!”, e giù risate grasse. Bisogna fare una cosa più semplice, la prossima volta. Insomma, urge un ddl Brondi? Con manuale di istruzioni? E però, come si verrebbe presi se, non sapendo nulla di calcio o di moda o di auto, si facessero delle prove su strada di veicoli senza sapere cos’è l’Abs, anzi beffandosene? (I fari al neon! Dove andremo a finire!). O delle cronache di partite senza conoscere le maglie delle squadre? Come la prenderebbero poi gli stilisti, gli automobilisti, gli inserzionisti?
Michele Masneri


    
Al direttore - Incontro un amico che mi vuole salutare perché “oggi – mi dice – è il mio ultimo giorno di lavoro, vado in pensione”. Ha 62 anni, un’esperienza enorme di 40 anni di lavoro in una grande azienda che offre un servizio essenziale al paese e lui in pensione non ci voleva proprio andare. Ma lo hanno quasi costretto ad approfittare di Quota 100 offrendogli un incentivo irrinunciabile, ben 200.000 euro. Non potrà più fare altro a meno di non lavorare in nero. Può guadagnare al massimo 5.000 euro in un anno. Morale: capitale umano pregiato e in piena forza ed efficienza distrutto. Domanda: ma che paese è quello che paga abbondantemente i migliori lavoratori nella loro piena maturità non per lavorare ma per stare a casa? Cordialità.
Chicco Testa

  

Come spiegato benissimo sabato sul Foglio da Veronica De Romanis, Quota 100 è stata una misura “contro i giovani” perché non ha creato più lavoro (la staffetta generazionale è stata uno dei tanti imbrogli del governo gialloverde) e ha lasciato ai giovani il conto da saldare (il costo cumulato entro il 2030 dovrebbe attestarsi intorno ai 28/30 miliardi). E lo stesso discorso vale per i prepensionamenti fatti nei grandi giornali: a forza di usare l’Inpgi come un bancomat, alla fine succede che i soldi del bancomat bastano solo per il presente e non più per il futuro. Anche basta, grazie.


 
Al direttore - Ammetto che darei qualsiasi cosa per conoscere il nome di chi ha suggerito di introdurre un limite Isee di 25.000 euro per continuare ad avere il Superbonus sugli interventi che riguardano le singole abitazioni. Immagino che la paternità vada a qualche sfegatato fan del Reddito di cittadinanza, ma a tutto c’è un limite. Se stai in un condominio ai Parioli, quindi, va tutto bene; se hai una villetta in periferia, no. Ovviamente l’obiettivo – replicherà il nostro – non sono le villette in periferia, ma le villone dei ricconi. Bravo genio: e tu metti un limite di Isee per escludere quelli che stanno nelle villone dichiarando redditi più che congrui a quel tenore di vita e premi quelli che stanno nelle villone dichiarando redditi bassi? Un nome, caro direttore, non chiedo altro. Solo per stringergli la mano senza stringergliela, come si fa ai tempi del Covid (assai volentieri in questo specifico caso).
Enrico Zanetti
 

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