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Zan e i diritti, intenzioni giuste ma legge sbagliata. Il discorso del 2016

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 29 ottobre 2021

Al direttore - “L’Italia rimane uno dei pochissimi paesi d’Europa a non avere una legge sui diritti civili”, ha detto ieri Alessandro Zan in un’intervista al Corriere della Sera. Questo non è vero, e per dimostrarlo basta prendere da YouTube l’intervento alla Camera dello stesso Zan il 12 maggio 2016. Si votava il decreto sulle unioni civili e fu lui a fare la dichiarazione di voto finale per il Partito democratico: “Questa è una giornata storica – diceva Zan con accanto Guerini e Rosato – il nostro paese compie un passo di civiltà fornendo uguaglianza sostanziale a tutte le coppie indipendentemente dal genere. Un decreto che restituisce credibilità a tutta la sinistra grazie al governo Renzi che ha investito tutto se stesso in una legge che migliorerà la nostra società”. Le accuse che oggi rivolge a Italia viva, nel 2016 Zan le rivolgeva agli alleati di oggi, che all’epoca non votarono le unioni civili. “Una legge di civiltà non era più rinviabile, chi vuole tutto è perché non vuole niente”, così concludeva Zan il suo intervento nel 2016, mentre oggi accusa chi ha cercato la mediazione. Una legge su diritti civili dunque ce l’abbiamo già, cosa mancava? Lo ha detto sempre Zan in diretta al tg di Mentana dopo l’affossamento: “La mia era solo l’estensione della legge Mancino”. Una nuova fattispecie di aggravante da inserire in un crimine che colpisce la libertà di pensiero e di parola. E che ne affida l’interpretazione ai magistrati.  Non vi era alcun nuovo diritto nella legge Zan, solo nuovi reati, nella reazionaria politica di chi continua a rispondere col panpenalismo ai problemi sociali quando il paese è già più avanti solo perché loro arrivano sempre dopo. 
Annarita Digiorgio

 

Intenzioni giuste, legge sbagliata. La prossima volta, per dare una copertura ulteriore ai diritti, oltre alle bandiere bisognerà dare uno sguardo anche al pallottoliere. 

 


 

Al direttore - C’è una malattia endemica della politica italiana, e cioè il rimangiarsi le riforme fatte da altri. Invece di guardare avanti, chi vince una elezione insiste nel voler rivedere una riforma o più riforme approvate dal governo precedente. E’ in questo modo che il nostro paese vive con lo sguardo puntato sullo specchietto retrovisore, focalizzato su smontare e rimontare leggi che così non entrano mai compiutamente in vigore. E’ quello che sta accadendo sulle pensioni. Sono passati quasi dieci anni dall’approvazione della riforma Fornero sulle pensioni, eppure ci sono pezzi di politica e società che ancora cercano di tornare indietro rispetto a quella decisione. Non di correggerla (come venne giustamente fatto per affrontare il nodo degli esodati), ma di abolirla. Questo atteggiamento è ancora più delittuoso se si pensa che in questi mesi il nostro paese dovrebbe essere impegnato in uno sforzo collettivo che va sotto il nome di Next Generation Eu, cioè del programma europeo di 750 miliardi pensato proprio per accelerare le transizioni del futuro. In Italia quel programma europeo è diventato un piano nazionale che si chiama “Italia domani”. Per alcuni non sarà mai domani se si continua a guardare a ieri. E si dimentica così quali sono le sfide dell’oggi e del domani. L’occupazione femminile, in un paese dove meno di una donna su due lavora, e dove a causa delle carriere discontinue e del divario salariale la media delle pensioni di vecchiaia delle donne è di 740 euro lordi al mese (di fatto sotto la soglia di povertà dell’Istat). Il fatto che i lavoratori, con l’aumento dell’età media e l’allungamento della vita lavorativa, combinata al progresso tecnologico, avranno bisogno di occasioni di formazione continua. La disoccupazione giovanile, la scarsa qualità dei contratti per i giovani, tutti fattori che stanno velocemente impoverendo i giovani e ne stanno ritardando l’autonomia. Come Pd vogliamo concentrarci su queste sfide immense, fatte di investimenti in formazione, di una revisione del sistema di welfare, di una concezione di lavoro giusto e degno. Siamo un partito progressista, cioè un partito che deve battersi ogni giorno perché il futuro sia migliore per almeno un individuo in più. Sarebbe bello, utile, necessario avere al nostro fianco in questo sforzo il sindacato.
Lia Quartapelle, 

parlamentare del Pd

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