LaPresse

Il rischio di punire le idee anche se sgradevoli. Ci scrive Zan

Le lettere del 4 maggio al direttore Claudio Cerasa 

Al direttore - Scambiati in Autogrill testi del concertone.
Giuseppe De Filippi



Al direttore - Voglio esprimerle la mia gratitudine per aver affrontato, nel modo e nel tono giusti, la discussione sul ddl Zan, sottraendola alla semplificazione alla quale sembra condannato. Farlo vuol dire entrare nel merito delle questioni che quella norma affronta, che è cosa diversa dalla rappresentazione di un’opinione pubblica divisa tra fautori del progresso e oscurantisti. Non è così: come lei ha mostrato, vi sono voci che condividono la necessità di una norma che contrasti efficacemente l’omotransfobia, ma chiedono correzioni al ddl attuale. Lei ha ricordato la lettera di Senonoraquando libere ma è di poche settimane fa l’appello promosso da Aurelio Mancuso (ex leader di Arcigay) e Cristina Gramolini (Arcilesbica) che ha raccolto adesioni diffuse e diverse tra intellettuali politici e amministratori locali – da Emma Fattorini a Giuseppe Vacca – nelle quali si ribadiscono ragioni analoghe. Con poche eccezioni, queste posizioni non hanno trovato spazio, sono anzi spesso andate incontro a caricature grottesche. Un errore: dovrebbe essere consapevolezza di tutti che la forza di ogni conquista civile viene dal confronto, dalla larghezza dell’accordo, non dalle sirene dell’appartenenza. Questa è stata la storia delle nostre leggi più avanzate, speriamo sia ancora così.
Fabrizia Giuliani



Al direttore - Caro Cerasa, in primo luogo la ringrazio per lo spazio che ha riservato sul Foglio al dibattito sulla legge contro misoginia, omotransfobia e abilismo. Ritengo che ogni occasione di dibattito sul tema e di spiegazione del testo che è stato approvato alla Camera lo scorso 4 novembre siano importanti per fare chiarezza sui contenuti e sul percorso fatto fino ad adesso. Come lei ben diceva, la calendarizzazione è stata chiesta – e votata – dal Pd, dal M5s, da Leu: tuttavia ha tralasciato Italia viva, il cui supporto non è mai mancato in questa battaglia, in particolare con l’impegno di tante deputate e deputati, grazie ai quali il testo è stato esteso anche all’abilismo, e al sostegno della ministra Bonetti, che ha dato un importante contributo e voglio ancora una volta ringraziare. Ritengo inoltre doveroso rispondere al suo editoriale nel merito dell’azione estensiva della legge Reale-Mancino ai crimini d’odio compiuti in ragione del genere, del sesso, dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale e della disabilità delle vittime. Esattamente come l’etnia o la nazionalità (fattispecie già comprese nella Reale-Mancino), queste sono condizioni ascritte in ogni essere umano, che uno stato ha il dovere di tutelare e proteggere, come peraltro la nostra Costituzione all’articolo 3 impone, ed è per questo necessaria la sua estensione. La differenza tra l’articolo 61 del codice penale (circostanze aggravanti comuni) e l’articolo 604 ter (codificazione dell’aggravante prevista dalla Reale-Mancino) sta nella pena prevista, cioè aumentata fino un terzo per l’art. 61 e comunque sempre a discrezionalità del giudice, mentre fino alla metà per l’art. 604 ter. E qui, dunque, sorge una domanda: perché secondo la legge, e quindi secondo lo stato, dovrebbe essere punito maggiormente chi, ad esempio, colpisce un’altra persona per il colore della sua pelle, rispetto a chi ne colpisce un’altra per il suo orientamento sessuale? Sono entrambi caratteri insiti in ciascun essere umano, sia l’etnia, sia l’orientamento sessuale. Credo dunque che tra i detrattori del ddl ci sia spesso malafede. Abbiano il coraggio di dire che se il testo approvato lo scorso novembre è sbagliato, lo è anche la legge Reale-Mancino. Ma ne ha mai proposta formalmente l’abolizione, anzi alla Camera l’estensione contro l’odio abilista è stata votata anche da chi si oppone alla parte che contrasta l’odio omotransfobico e misogino. E’ giusto dire che già oggi il nostro ordinamento punisce violenze e aggressioni, ma la legge Reale-Mancino è stata introdotta perché i crimini d’odio non hanno un movente generico, ma preciso, ovvero la soggettività dell’individuo. Non è un caso che gli osservatori europei per i diritti umani releghino l’Italia agli ultimi posti nelle classifiche per inclusione delle persone lgbt+ e che le istituzioni europee ci chiedano ormai da quasi 10 anni di intervenire nel merito, attraverso una specifica norma penale. L’articolo 3 della Costituzione affida alla Repubblica, e quindi al legislatore, il compito di eliminare quegli ostacoli che limitano il pieno sviluppo della personalità umana. Seguendo il percorso indicato dalla Costituzione è stata approvata la legge Reale-Mancino, e sempre seguendo lo stesso percorso oggi si propone questa ulteriore estensione per dimensioni della personalità che devono essere riconosciute e protette dalla legge esattamente come lo è l’etnia, la nazionalità o il credo religioso. Mi permetta infine, direttore, di denunciare l’enorme campagna di fake news costruita attorno alla presunta limitazione della libertà di espressione. Lo ripeto: l’intenzione è quella di estendere una legge che ha più di 40 anni, con una giurisprudenza consolidata, anche costituzionale, che ne ha sempre ribadito la piena legittimità. Ancora una volta può essere utile un esempio: un prete in chiesa potrà sempre dire che l’unica unione può essere tra un uomo e una donna, come un politico durante un comizio potrà sempre dire che è contrario alla stepchild adotption. Sono libere opinioni, che non condivido, ma che sono tutelate dalla nostra Costituzione. Altra cosa è augurare l’estinzione alle persone transessuali o chiedere i forni crematori per le persone omosessuali. Una libera espressione non può mai degenerare in un pericolo o in una violenza. Come peraltro il presidente della Repubblica Mattarella ha ricordato lo scorso 17 maggio, in occasione dell’ultima giornata internazionale contro l’omotransfobia, dicendo che “le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale costituiscono una violazione del principio di eguaglianza e ledono i diritti umani necessari a un pieno sviluppo della personalità umana”. Queste parole sono state un faro nell’elaborazione del testo e mi auguro lo siano ancora per le senatrici e i senatori durante l’imminente discussione.
Alessandro Zan, deputato Pd

Caro Zan, grazie della sua lettera. Le sue risposte sono interessanti, ma come lei sa non sempre le intenzioni delle leggi raggiungono obiettivi all’altezza delle intenzioni. E nel caso specifico, come abbiamo avuto modo di scrivere ieri, quando si costruiscono norme che rendono ancora più vaghe alcune fattispecie di reato la possibilità che il reato in questione si trasformi in un reato di opinione è forte. E come lei sa meglio di noi, consentire di mettere nelle mani di un giudice ogni discrezionalità interpretativa trasformando in un autore potenziale di reato anche chiunque manifesti in modo anche sgradevole le sue idee e le sue opinioni non è certo quello che lei si augura, e le fa onore, ma è quello che leggendo con attenzione la sua legge potrebbe succedere. In bocca al lupo.



Al direttore - Si sono sovrapposte voci discordanti sul caso Fedez. Sembra quasi che la divisione passi lungo il confine tra libertà e censura, quando in effetti, nella lettura di questa vicenda si possono rintracciare gli elementi di una disputa più sofisticata. Si fa presto a deprecare il comportamento dei responsabili Rai, ma si farebbe ancora più presto a immaginare cosa avrebbe significato un quieto accoglimento, finanche ai limiti della distrazione, della performance artistica agghindata di feroci accuse alla Lega, un partito che rappresenta una fetta consistente di elettorato. Il punto di equilibrio, in queste circostanze, non è facilmente individuabile. Tuttavia, poiché la democrazia si nutre di vincoli e procedure, non solo di esaltazione di ciò che appartiene alla sfera della libertà individuale la pretesa di Fedez non convince. Fino a che punto può spingersi il “diritto” di una personalità dello spettacolo a fare del mezzo pubblico televisivo uno strumento al servizio delle proprie convinzioni, fuori perciò da un contesto ordinato, magari con la presenza di possibili interlocutori in grado eventualmente di replicare e difendersi dagli attacchi? Veniamo all’oggetto del contendere. Non corrisponde al vero che tutta l’opposizione al ddl Zan contempli la somma di tante pregiudiziali che riflettono il sentimento di un’Italia intollerante alla diversità di condotta e di vita sessuale. Si gioca a forzare i termini con il rischio di mortificare il dissenso o le preoccupazioni di un mondo che nulla obietta circa la salvaguardia di prerogative e tutele delle persone non eterosessuali, ma qualcosa eccepisce sul merito delle norme che vanno prendendo forma, specie se la loro interpretazione finisse per limitare il diritto di espressione. Non basta affermare il contrario. Di fronte ai dubbi l’arma più giusta è quella della persuasione e del convincimento. Pensare d’imporre un punto di vista, nel campo per altro sensibile dell’etica, significa compromettere l’intenzione più autentica di un legislatore votato al rafforzamento di criteri e modelli di civiltà. Le forze politiche hanno il dovere di ragionare sulla costruzione di un consenso adeguato ogni qualvolta si arrivi a toccare, in particolare, i punti sensibili del “tessuto morale” della nazione. Si ripete, anche con furbizia, che alcuni temi sfuggono alla classificazione tradizionale di destra e sinistra. In ogni caso, un partito che voglia esercitare una funzione guida, come ad esempio intende fare il Pd, non deve commettere l’errore di chiudersi nel radicalismo di presunte verità. E’ fatica andare controcorrente, tenendo a bada le convulsioni della politica social, ma Letta e gli altri dirigenti sanno che un cedimento al populismo è sempre possibile ed è sempre deleterio, anche se sgorga dal generoso proposito di “liberare” la società. Oggi più che mai il dovere del Pd consiste nell’assunzione di una scelta di responsabilità, e dunque di equilibrio politico, nel mezzo di una crisi che non consente di esasperare il conflitto ideologico o, se si preferisce, post ideologico.
Giuseppe Fioroni, Pd
 

Di più su questi argomenti: