(Foto Ansa)

Rai, le spartizioni siano all'altezza di questa fase non ordinaria

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 27 marzo 2021

Al direttore - Si approssima il periodo nel quale bisognerà decidere numerose nomine nei livelli apicali, e comunque negli organi deliberativi e di controllo, di imprese pubbliche, di diretta o indiretta competenza del governo. In particolare, sono da deliberare gli incarichi di vertice di Rai, Cassa depositi e prestiti, Ferrovie, ecc. Finora non si è parlato di regole, requisiti e criteri – oggettivi, predeterminati e da rendere pubblici – per le relative scelte, al di là di quelli fissati, non con norma di legge, dal Tesoro per alcuni specifici requisiti, con l’impegno dell’allora ministro, il compianto Fabrizio Saccomanni. Un comportamento elusivo di criteri e trasparenza è stato tenuto da tutti i governi succedutisi almeno negli ultimi venti anni che hanno preferito lasciare a un Manuale Cencelli-ombra la spartizione delle cariche a opera delle formazioni di maggioranza. Succederà così anche con questo governo? Ci sarà continuità o discontinuità? O si dirà che, per postulato, da un governo dei competenti non possono discendere che nomine di competenti e che, quindi, bisogna essere tranquilli e fiduciosi per le scelte?

Angelo De Mattia

 

Il governo Draghi  è un governo politico, non tecnico, ed essendo il governo l’azionista della Rai c’è da augurarsi non che non ci siano spartizioni ma che le spartizioni siano all’altezza della fase non ordinaria in cui si trova l’Italia. Il punto non è se ci sarà il Cencelli ma è se verrà usato esclusivamente per trasformare alcune reti della Rai nelle succursali delle catacombe dei partiti.


 

Al direttore - Dante ha copiato la Divina Commedia: la tragedia tedesca.

Fausto Cerulli

 


 

Al direttore - Premesso che ho plaudito alla formazione del governo Draghi di cui seguo l’azione politica con fiduciosa attenzione, nello stesso tempo, non posso tacere lo sconcerto subentrato in me a seguito delle dichiarazioni pronunciate dal neo ministro dell’Istruzione. ospite del programma televisivo “Che tempo che fa”, andato in onda il 22 marzo. Dallo sconcerto alla desolazione il passo è stato, purtroppo, molto breve, allorquando il ministro, rispondendo alla domanda del conduttore che gli chiedeva di definire il concetto di scuola, si profondeva in un amabile sorriso che lasciava pregustare ai telespettatori nuove prospettive sulla tematica proposta. Invece, quel sorriso preludeva alla rappresentazione di un’“inedita” weltanschauung in virtù della quale l’istituzione scolastica, che attende da decenni la soluzione di problemi strutturali, verrebbe rianimata da un iperglicemico elisir consistente (udite, udite!) in una buona dose di “affettuosità”. Inoltre, proseguendo nella sua dissertazione, il ministro Bianchi sosteneva che proprio questo filtro magico avrebbe prodotto l’incantesimo di dissolvere l’individualismo presente nella scuola e di creare una comunità amorevole e solidale. In questo modo egli però lasciava incautamente aperte le porte a un’interpretazione sentimentalistica delle relazioni affettive, purtroppo già presente nella scuola italiana, anche in virtù dei condizionamenti da essa subiti da modelli televisivi strappalacrime che finiscono, poi, per alimentare proprio quell’individualismo esecrato dal ministro. Mi chiedo a questo punto, se, pur senza pretendere un cambiamento palingenetico del sistema scolastico, per altro improponibile nell’attuale congiuntura storico-politica, non sarebbe stato più proficuo che il ministro avesse spiegato il significato etimologico di “schola”, da intendersi come palestra, luogo di formazione educativa e culturale, e di “studium” da intendersi non solo come pedissequa acquisizione di nozioni, ma desiderio; desiderio da tradursi in un coinvolgimento degli allievi, finalizzato alla acquisizione e valorizzazione delle loro risorse.

Antonio de Falco

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