Un tranquillante, vi prego, per l'Aifa. Ci scrive Luca Bergamo

Le lettere del 16 marzo al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ok, ma non si può bombardare Aifa.
Giuseppe De Filippi


Vero. Ma si può chiedere ad Aifa di non bombardarci con messaggi contraddittori: ieri mattina ci diceva che tutto andava bene, poche ore dopo che tutto andava male. Calma.



Al direttore - Ho letto un tweet dell’ex ministro Azzolina che mi ha fatto riflettere. “Chiudere tutte le scuole è una misura eccessiva. La scuola è priorità? Allora mi aspetto almeno la tutela dei più piccoli. Se è vero che ‘le varianti incidono maggiormente dai 10 anni in su’ perché chiudere nidi, infanzia e primaria? E i tamponi a scuola che fine hanno fatto?”. Che ne pensa direttore?
Luca Bartoni


Le rispondo con una bella frase offerta ieri dal ministro dell’Educazione francese, Jean-Michel Blanquer. “La scuola è l’ultima cosa da chiudere, perché è l’istituzione più preziosa nel cuore della società. Quindi possiamo chiudere la scuola solo quando avremo provato tutto il resto e non sarà risultato abbastanza”. Ho l’impressione che la chiusura delle scuole, ancora una volta, non sia stata considerata come l’ultima cosa da fare. 



Al direttore - Muore improvvisamente dopo aver ricevuto l’estrema unzione. Indagato il Papa e il sacerdote. Sequestrato il lotto di olio benedetto. Il Gip: è un atto dovuto.
Michele Magno


Letto su Twitter un corsivo geniale e purtroppo assai veritiero di un avvocato di nome Gian Luca Totani: “Muore tre giorni dopo aver preso un caffè: iscritti – come atto dovuto – barista, grossista e legale rappresentante della multinazionale che lo produce”.



Al direttore - Conosco Enrico Letta. C’è stato un periodo in cui collaborammo a lungo e intensamente sul piano politico e culturale. Sostenni Enrico, credo l’unico a farlo nella direzione nazionale dei Ds, nelle primarie per la scelta del primo segretario del Partito democratico nascente. L’elezione di Enrico segretario del Pd sarebbe stata la garanzia di un riformismo coerente, non fatto di chiacchiere, di continue esitazioni, di rinvii. Questo sostenemmo. Perdemmo ma conducemmo una splendida e bella battaglia. Anni dopo, con Enrico vice di Bersani, considerai tuttavia un errore giungere al voto del marzo 2013 con un centrosinistra ridotto all’alleanza con Sel e Di Pietro, la formula riassunta nella famosa “foto di Vasto”. Come mi apparve un errore foriero di guasti politici e culturali la ricerca di Bersani, dopo la sconfitta del 2013, di una intesa, per formare il governo, con il Movimento 5 stelle di Grillo e Casaleggio. Né apprezzai che, di fronte all’irruzione spesso maldestra di Renzi sulla scena politica, Enrico lasciasse la battaglia politica e si allontanasse per gli studi a Parigi, quando invece occorreva darsi ragione di quanto accaduto, riflettere, capire malgrado le amarezze. Ma tant’è. Ora l’impresa cui si accinge è ardua: rilanciare il ruolo e la funzione del Pd in una fase tra le più dolorose e tormentate della storia sociale e civile degli italiani. Enrico dispone della cultura, dell’esperienza per tentarla. Mi auguro riprenda il progetto originario del Partito democratico: una forza che si ispiri a un “riformismo coerente”, si liberi da segni, che non mancano, ahimè, di subalternità al populismo grillino, una forza che sostenga senza doppiezze il governo Draghi. Sono queste le condizioni da soddisfare perché il Pd si candidi a essere il perno di una credibile alternativa di governo alla destra. Vedremo, con ansia.
Umberto Ranieri



Al direttore - Cosa servirebbe alla sinistra del futuro? Devo rispondere in quattromila battute e già ne ho consumate centosedici. Elenco solo alcune cose che penso servirebbero già oggi. Serve il coraggio di affermare un nuovo diritto uni(pluri)versale, quello al futuro, legato inseparabilmente a quello alla dignità della persona. Vanno scolpiti nel diritto internazionale, nelle costituzioni e leggi, nelle politiche, nelle coscienze. L’indispensabile transizione ecologica e l’innovazione devono servire questo legame. Dunque, bisogna domandarsi come sarà la società fra trenta, cento anni, aprire spazi al protagonismo di chi verso il futuro ha un rapporto speciale, in primis i giovani e chi fa scienza, per pensarlo e non subire un cambiamento d’epoca che stravolge tutto.  “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”, nella dichiarazione universale dei diritti umani. Tuttavia, così non è per la maggioranza di esseri umani né in molte politiche o leggi. Ma, se “rimuovere gli ostacoli […] che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…” è compito della Repubblica (l’art 3 della Costituzione), la sinistra italiana deve assumersi la responsabilità di garantirne l’applicazione puntuale. Di ostacoli, anche culturali o fisici, che negano “eguali libertà, dignità e diritti” ve ne sono troppi. Ad esempio: per le donne che cercano di emanciparsi (i femminicidi in famiglia sono l’80 per cento e le donne per prime perdono il lavoro), per le famiglie che non riescono a conciliare smart working e Dad, per i cinque milioni in povertà, per i giovani, per chi nasce al sud o nelle periferie, solo guardando all’Italia.  Ma nel mondo globale, alla sinistra serve promuovere “una fraternità aperta, che permetta di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita”, al di là del suo colore o genere (che sia definito o in transizione), della sua filosofia o religione, delle conoscenze o beni che possiede. Nell’azione politica serve collegare vicino con lontano, oggi con domani, piccolo con grande, culturale con biologico. Collegamenti da rendere concreti prima di tutto con il governo delle città, che devono avere un ruolo forte nella governance nazionale e internazionale. Collegamenti che caratterizzano molti nuovi movimenti, dai Friday for future a Non una di meno, che la sinistra potrebbe rappresentare se conquistasse credibilità.  Mega aggregati finanziario-economici stravolgono i mercati, dettano costumi, sfuggono al potere regolatorio degli stati. E’ una massiccia compressione della libertà d’impresa e del rapporto tra impresa e benessere del territorio in cui questa opera. Contrastare lo strapotere di questi mondo-poli, garantire la libertà d’impresa e l’equa remunerazione del rischio, sono battaglie necessarie a sinistra e democrazia che implicano multilateralismo. 


Cantava Louis Armstrong: “I think to myself what a wonderful world”. Un’emozione che molti hanno provato almeno una volta, ma che le condizioni di vita negano alla stragrande maggioranza.  Alla sinistra spetta la responsabilità storica di introdurre nuovi ordini in cui ciascuno possa provare questo sentimento verso il mondo, magari con una crescente frequenza nel corso della vita e della storia. 
Puntare solo alla conquista degli swing-voters, non lo consente.  Aumenta l’astensione e restringe il campo di chi affida alla democrazia le condizioni per la propria dignità. Per introdurre nuovi ordini, ma anche solo per cambiare cose radicate, bisogna vincere le elezioni convincendo a votare chi non lo fa perché pensa che il gioco sia truccato, pur avendo un certo sguardo sulla società. Per ottenere questo risultato la sinistra politica deve essere ambiziosa, coerente, dinamica, trasparente, pragmatica, radicale e permeabile ai tanti corpi intermedi e movimenti. E deve dimostrare il coraggio di nutrire fiducia nelle persone.

Luca Bergamo
ex vicesindaco di Roma