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Lettere

Intergruppi e alleanze: ma esistono ancora i riformisti del Pd?

Le lettere del 18 febbraio al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Non si esce dalla regione, figurati dall’euro.
Giuseppe De Filippi


 

Al direttore - Giuseppe Conte ricorda la vicenda di Massimiliano d’Asburgo che per trovargli un trono lo mandarono in Messico. Con tutto quello che ne seguì.
 Giuliano Cazzola


 

Al direttore - Che ci suggerisce il grande gelo di questi giorni negli Usa? Intanto che, nelle sue conseguenze, il freddo estremo è più pericoloso e impattante del grande caldo. E’ sempre stato così nella storia del clima, ma ce lo stiamo dimenticando. Ovviamente, c’è chi spiega la morsa del gelo con i cambiamenti climatici: in quanto fenomeno estremo, anche il freddo eccezionale sarebbe conseguenza del riscaldamento globale. In realtà non lo sappiamo, è una congettura. Ma non è questo il vero dilemma. Piuttosto, gli eventi meteorologici in America evocano un diverso interrogativo: stiamo contrastando nel modo efficace i cambiamenti climatici? In particolare: è davvero auspicabile il modello energetico, “tutto rinnovabili” (solare, eolico, biomasse, idroelettrico) verso il quale si indirizza il green new deal europeo? In Texas e in altre parti dell’America, col grande freddo si è sfiorato il collasso del sistema e il black out: decine di impianti di tutti i tipi – rinnovabili o a combustibili fossili – sono andati in tilt; molti sono stati fermati per evitare sovraccarichi sulla rete elettrica; il gelo aumentava la domanda di energia per riscaldamento, ma il gestore ha dovuto comprimerla per evitare danni peggiori. Due lezioni: con le pale eoliche bloccate dal gelo, gli impianti solari improduttivi per l’assenza di sole, la domanda di energia da contenere per evitare i sovraccarichi, il blocco della fornitura elettrica sarebbe stato automatico se non si fosse potuto contare su un sistema energetico misto, fatto di più fonti su cui distribuire i cali di di offerta. A reti efficienti serve, insomma, la flessibilità e la diversificazione delle fonti, la ricchezza energetica. E inoltre, è magra consolazione affidare la soluzione alle politiche di mitigazione del clima. Il loro effetto (peraltro molto contenuto nelle cifre delle temperature attese) è fissato per la fine del secolo. Se non oltre. Sono troppi 70 anni per procedere a politiche energetiche irreversibili (gli esperti le chiamano mancanza di no regret solutions) di impoverimento del mix energetico, sostituendo le fonti fossili o nucleari. Potremmo trovarci, appunto, tra anni a doverlo rimpiangere (regret). Che fare? Bisognerebbe decarbonizzare senza cancellare le fonti a forte densità energetica: petrolio, gas naturale e nucleare. Possibile? Le aspettative dalla tecnologia (sistemi di stoccaggio e di cattura della CO2) dicono di sì. Il green deal deve assicurare la continuità della ricchezza energetica senza semplificazioni e riduzioni del mix energetico. Il vero dilemma della transizione ecologica è questo.
Umberto Minopoli

 

A proposito di transizione ecologica. Ieri Mario Draghi, nel spiegare il suo approccio di difesa dell’ambiente, ha usato un’espressione importante e ha detto che la difesa dell’ambiente deve andare di pari passo con la difesa del progresso. Come dire: se volete utilizzare l’ambientalismo per far rientrare il cialtronismo anticapitalista dalla finestra avete sbagliato premier.


 

Al direttore - Bisogna riconoscere a Repubblica di essere il primo giornale che pubblica in cartaceo una lettera con il sonoro. E’ vero che essendo un esperimento ci sono cose da migliorare, infatti si capisce poco della lettera del segretario del Pd Nicola Zingaretti, però il rumore delle unghie sui vetri si sentiva eccome.
Valerio Gironi


 

Al direttore - Solo questa ci mancava, una riedizione del glorioso Fronte popolare attraverso il patto Pd, Movimento 5 stelle, Leu. Non sto a riesumare la fin troppo citata battuta di Carlo Marx sulla tragedia e sulla farsa, adesso però capiamo meglio perché da settembre del 2020 in poi il Pd abbia lasciato fare a Conte tutto quello che voleva, dalla gestione personale dei Servizi all’affidamento al solo Arcuri di tutti gli approvvigionamenti dei mezzi sanitari più la gestione dell’ex Ilva, al tentativo di gestire in solitaria i 200 miliardi del Recovery Plan. Conte non andava disturbato perché era il navigator di questo inedito fronte nel quale ogni ipotesi riformista del Pd viene affogata in un calderone massimalista, giustizialista e populista guidato dall’avvocato del popolo. Già sono in preparazione le carrette sulle quali a furor di popolo verranno trascinati i superstiti riformisti del Pd. Ma esistono ancora i riformisti del Pd? “Alla lanterna, alla lanterna”.
Fabrizio Cicchitto

 

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