Quando un capo di partito si comporta da leader e non da follower

Le lettere al direttore del 16 febbraio 2021

Al direttore - Si fanno anche l’opposizione! Vedi a essere i migliori!
Giuseppe De Filippi


  
Al direttore - Nei giorni scorsi se n’è andato Paolo Isotta. Scrisse Isaiah Berlin che la sua interpretazione della relazione di Thomas Mann con la musica era la più profonda di ogni altro letterato del nostro tempo. Isotta era uno straordinario musicista. Fiero della sua libertà spirituale. Scompare con lui un grande napoletano che l’Italia non ha onorato come meritava.
Umberto Ranieri


  
Al direttore - Ora è ufficiale, alla politica italiana mancano i leader. Problema noto, a lungo ignorato, oggi conclamato dall’avvento di un “Papa straniero”: Mario Draghi. Mancano i leader, ovvero personalità politiche che alla conoscenza e al coraggio uniscano una qualità essenziale in un mondo mai come oggi privo di ordine e attraversato da cambiamenti repentini: la capacità di prevedere gli eventi. Pre-vedere, vedere prima. Il leader è un precursore, uno strumento della Storia. Vede quello che gli altri ancora non vedono e muovendosi di conseguenza agevola il cambiamento. Piaccia o no, in quest’ultima fase politica solo due personalità hanno mostrato i tratti della leadership: Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Mentre tutti gli altri cercavano di puntellare un assetto di governo superato o invocavano scenari elettorali irrealistici, pur se da ottiche diverse Renzi e Berlusconi guardavano oltre e per primi vedevano quel che poi hanno visto tutti. Considerando che in base ai sondaggi i due unici “leader” attualmente in scena rappresentano meno del 15 per cento dell’elettorato, è chiaro che il sistema politico italiano ha un problema. Un problema che mina l’efficacia dei governi, sterilizza il ruolo delle opposizioni e perciò lede l’interesse nazionale. Le cause sono almeno tre. L’abuso dei social, che condanna i capi politici ad uno sterile presentismo e ne incoraggia la coazione a ripetere. La scarsità di cultura politica e di relazioni internazionali, che impediscono di percepire le tendenze nazionali e globali. La crisi dei partiti politici. La terza causa è decisiva. Partiti strutturati consentivano di selezionare le leadership nel tempo, misuravano le proprie classi dirigenti attraverso un cursus honorum che ne vagliava il carattere e ne arricchiva l’esperienza, obbligavano al confronto tra posizioni diverse, inquadravano l’azione del leader nei margini di un’identità e una visione definite, presupponevano una costante attività di studio e di analisi. Il primo problema potrebbe essere temperato con un po’ di autodisciplina, il secondo fondando una scuola di alta amministrazione sul modello dell’Ena francese e riconoscendo il giusto valore alle esperienze internazionali e soprattutto europee. Rianimare i partiti politici sembra un proposito ardito, quasi antistorico. Con sprezzo del pericolo (o più propriamente del ridicolo) abbozzo comunque due proposte: dare attuazione all’articolo 49 della Costituzione, disciplinando la vita democratica interna ai partiti politici; ripristinare, al costo di un’impopolarità sicura, ma si spera momentanea, il finanziamento pubblico grazie al quale i partiti politici sarebbero incoraggiati a strutturarsi. Chissà che nel tempo sospeso del governo Draghi il Parlamento non trovi l’ispirazione e la forza per metter mano anche a questo grave problema italiano.
senatore Andrea Cangini, responsabile Cultura di Forza Italia

 

Non sono del tutto d’accordo. Essere leader non significa solo avere carisma ma significa anche saper guidare i propri partiti in condizioni complicate, provando ad adattarsi anche a un mondo che cambia. E da questo punto di vista i leader dei partiti che hanno permesso, dopo molte convulsioni, la nascita del governo Draghi si sono comportati più da leader che da follower.

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