Dalle scie chimiche all'europeismo: è o non è questo il paese che amiamo?

Le lettere del 12 febbraio al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Rousseau: 59,3 a 40,7. Torna il bipolarismo! 
Giuseppe De Filippi


 

Al direttore - Sarà la logica conseguenza dell’ingloriosa fine del trumpismo, sarà il naturale rinculo realista di un triennio pericolosamente surrealista, fatto sta che la legislatura iniziata all’insegna del conflitto, della demagogia e dell’anti europeismo sembra destinata a concludersi nel segno della concordia, della concretezza e dell’europeismo. Dopo i distruttori, i costruttori. Sarebbe clamoroso se i partiti non approfittassero di questa imprevista congiunzione astrale per rilegittimare se stessi contribuendo a sanare le storture dello stato. Quelle storture da cui dipendono tanto le frequenti crisi politiche quanto le ricorrenti inadeguatezze dei governi in carica rispetto a crisi epocali che il combinato disposto di globalizzazione e disordine geopolitico certamente ci riproporrà. Stavolta ci è andata bene: è arrivato Mario Draghi. La prossima volta potrebbe non arrivare nessuno o potremmo finire nel pugno di un malintenzionato.


Andrea Cangini, 
senatore di Forza Italia

 

Il Parlamento più sgangherato, più malconcio, più populista, più sovranista, più anti europeista, più sfascista, più anti politico della storia della Repubblica italiana ha l’occasione, dopo essersi perso per qualche mese a rincorrere le scie chimiche, a dubitare dell’allunaggio, a sognare le sirene, a giocare con i No vax, di far diventare il nostro paese un laboratorio dell’anti populismo e dell’anti nazionalismo. E’ o non è questo il paese che amiamo?


 

Al direttore - Come lei ha scritto, per sbloccare i cantieri Mario Draghi avrebbe intenzione di adottare il modello Genova ovvero di derogare a tutte le norme dell’ordinamento “a esclusione di quelle penali.” Ma il problema sta proprio lì: nell’approccio pregiudiziale delle procure che si avvalgono di quelle norme per bloccare  tutto.  Immagino che lei, caro Claudio, ricordi  uno dei capisaldi della dottrina Davigo: “Non è più semplice mandare un ufficiale di polizia giudiziaria sotto copertura –  ecco le sue parole – a partecipare a una gara d’appalto e quando qualcuno la vincerà, dicendo tu questa gara non la devi vincere lo arresta così facciamo prima?”.
Giuliano Cazzola

 

Un amico bene informato mi dice che per mettere le riforme del Recovery su una corsia preferenziale servirebbe una riforma, una e solo una, composta di poche parole: “Tutte le opere contenute nel Recovery fund approvato dal Parlamento sono dichiarate di pubblica utilità e quindi non abbisognano di ulteriori autorizzazioni e pareri”. Dovesse andare male, ci si potrebbe accontentare anche di questo. 


 

Al direttore - I cantori della democrazia diretta, che si affidano a un’opaca procedura di voto online a suffragio iper-ristretto (peraltro, con un quesito farlocco), mentre la loro rappresentanza parlamentare è, da mesi, pesantemente sovradimensionata in confronto al consenso reale testimoniato da sondaggi e risultati elettorali regionali e amministrativi. D’altronde, quando i puristi “no alleanze” stabiliscono il record, in una sola legislatura, di governare prima con la Lega, poi con le sinistre, infine con una coalizione monstre di larghe intese a sostegno del “banchiere mai eletto da nessuno” (copyright Beppe Grillo), i voti inevitabilmente svaniscono. Alle prossime politiche, finalmente, troppo tardi, si sgonfierà questo grande bluff.
Daniele Montani

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