Il passo avanti dell'Italia val bene l'impopolarità di un Matteo

Le lettere al direttore del 5 febbraio 2021

Al direttore - “Draghi è mio e me lo voto io”.
Giuseppe De Filippi


  
Al direttore - Gentile Cerasa. Ho seguito e apprezzato la sua analisi della crisi di governo, negli ultimi giorni sulle pagine del Foglio, e nelle ultime ore su Sky Tg24. Mi ritrovo nella visione per cui, se il governo Conte, come molti hanno riportato, ha incontrato dei problemi nella scrittura del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nella decisione dei suoi punti fondamentali e quanto più nella gestione della pandemia, un cambio di programma e di persone al comando del governo, fosse auspicabile e quanto mai essenziale. Da quello che ho potuto ascoltare, queste ultime istanze sono state le stesse portate avanti dal leader di Italia viva Matteo Renzi, il quale come si legge stamani nel suo articolo “bisogna ringraziare insieme a Mattarella per l’incarico conferito al professor Mario Draghi”. Forse per fini meno nobili di quelli resi pubblici, forse con la dialettica sbagliata, forse involontariamente, Matteo Renzi è riuscito nel suo intento, quello di dare un governo istituzionale all’Italia nel momento più importante per la gestione della pandemia e per la risposta al progetto europeo del Next Generation Eu. Fatta questa premessa, vorrei chiederle quali sono a suo parere le ragioni per le quali il leader di Italia viva viene ormai percepito con così tanta impopolarità, con così tanto odio, tanto da ridurre le percentuali del suo consenso a un povero 2 per cento, qualunque sia la sua mossa politica, qualunque sia il risultato raggiunto.
Enzo Zimatore

 
Le ragioni sono molte, ma al momento conta solo una cosa: la mossa del cavallo più che una mossa del caciocavallo alla fine si è trasformata in una mossa del canguro e ha permesso all’Italia di essere nelle condizioni di fare un passo in avanti piuttosto che uno all’indietro. E se questo è successo lo si deve anche a Renzi.


  
Al direttore - Una legislatura iniziata con il piano Savona per l’uscita dell’Italia dall’euro e che finirà con il governo del presidente emerito della Bce.
Piercamillo Falasca


  
Al direttore - Mes - Messy - Draghi.
Matteo Desantis


  
Al direttore - Cari amici del Foglio. Leggendo il trafiletto di ieri che Maurizio Crippa mi ha simpaticamente dedicato (chiamandomi “scappato di casa”), il lettore può ricavarne un’informazione sbagliata su di me. Anzi. Proprio il contrario della realtà. E non tanto per l’insulto (lasciamo perdere). Ma sull’opinione che ho di Mario Draghi. Nel mio piccolo, l’ho sempre sostenuto ed elogiato, sia nei miei articoli di giornale, sia nei miei libri: in “Ascesa e declino. Storia economica d’Italia” (il Mulino, 2015), lodo il ruolo di Draghi nella trattativa sul cambio lira/marco e quindi lira/euro, negli anni Novanta, che a mio giudizio ha consentito di arrivare al risultato migliore possibile per il nostro paese, contrariamente a quello che raccontava e racconta la propaganda di destra; in “Il Sud, l’Italia, l’Europa” (il Mulino, 2019), sono diversi i passaggi in cui elogio il fondamentale ruolo svolto da Draghi alla Bce per salvare l’euro e l’Italia. Tanto più lo sostengo ora, contrariamente a quel che l’articolo lasciava intendere. La polemica politica, anche aspra, è sempre legittima naturalmente. Ma non andrebbe mai fatta attribuendo a una persona il contrario di quello che pensa, dice e scrive. Faccio notare che sono anche un assiduo sostenitore della democrazia liberale (che non è il neoliberismo): ho scritto ben tre libri per difenderla in modo appassionato, dedicati rispettivamente all’Italia e all’Europa, al mondo, a Dubai. Oggi in Italia la democrazia liberale si difende anche stigmatizzando con tutte le forze quello che ha fatto Renzi con l’Arabia Saudita: farsi pagare, mentre è senatore in carica della Repubblica, per andare a elogiare uno dei regimi più oppressivi che esistano al mondo. Un ex presidente del Consiglio di una delle più importanti democrazie occidentali, ex sindaco di Firenze, che – ben foraggiato – loda un tiranno e definisce il suo cupo e feroce regime un “rinascimento” è uno scandalo che, come ha ben scritto Carlo Calenda, dovrebbe preoccupare innanzitutto i liberali. E io infatti, che sono un liberale di sinistra, me ne preoccupo eccome. Ve ne preoccupate anche voi, ne sono certo (e me ne state dando prova, proprio ora). Potrei aggiungere, da storico, che raramente le nostre istituzioni repubblicane erano state così vilipese, agli occhi del mondo libero (davvero basta così poco per comprarci?). Mario Draghi è quanto di più lontano esista da questo “stile” (e da questa “sostanza”). E anche questo mi rassicura molto.
Emanuele Felice, 
responsabile economico del Pd

  
Come dice un vecchio saggio, l’occhio vede quello che la mente vuole vedere. Benvenuto nel club.

 

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