(foto LaPresse)

lettere

Il punto non è se i vaccini ci saranno, ma come li distribuiremo

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ciao! Ciao.
Giuseppe De Filippi 

 

Big hello!



Al direttore - Confesso che vedrei volentieri in tv il presidente Mattarella e il presidente Conte mentre vengono vaccinati (in attesa che facciano altrettanto tutti i leader di partito). La credibilità della classe politica italiana oggi dipende da questo piccolo gesto.
Michele Magno 

 

Tutti i big della politica e delle istituzioni, Mattarella compreso, hanno detto al Foglio di essere pronti a farlo e sono certo che tutti lo faranno presto. Una volta però invogliati gli italiani a vaccinarsi, sarebbe utile occuparsi non di come ricevere i vaccini ma di come organizzarsi per distribuirli al meglio. E su questo elemento sarebbe utile rileggere un appunto offerto da Carlo Alberto Carnevale Maffè, che commentando il piano nazionale dei vaccini ha suggerito al governo di comunicare tempestivamente quanto segue: il cronoprogramma dettagliato del piano di ricerca, selezione, formazione e operatività del personale medico e infermieristico previsto, e i relativi costi previsti; la distribuzione prevista di tale personale per turni di lavoro, squadre medico-infermieristiche, punti di erogazione e logistica, inclusivi delle previsioni aggregate per i volumi di somministrazioni a domicilio; gli orari di apertura, le modalità di accesso e i livelli di sicurezza, sanificazione e protezione dei primi 300 punti di erogazione previsti, nonché del totale dei 1.500 punti sul territorio nazionale; le caratteristiche e i canali di contatto dei sistemi di prenotazione e/o di convocazione dei cittadini per gli appuntamenti di somministrazione delle prime e delle seconde dosi; le previsioni dettagliate sui volumi e sui tempi di somministrazione previsti, disaggregati per area geografica e per categorie di cittadini, pianificati in base alle priorità stabilite; le specifiche funzionali di massima del sistema informativo di monitoraggio del piano vaccinale e la struttura degli open data da esporre per la ricerca scientifica e lo scrutinio democratico; gli eventuali piani di convenzionamento con le strutture private o, in alternativa, i piani di potenziamento delle risorse medico-infermieristiche pubbliche necessarie per massimizzare la capacità di somministrazione in modo coerente con la disponibilità prevista dei vaccini, corredati dalla relativa analisi comparativa di costi e benefici. Il punto è questo: non se i vaccini ci saranno (per fortuna l’Italia non si occupa della produzione) ma come ci comporteremo noi per distribuirli nel modo più efficiente possibile. Il resto è gnagnera.


 

Al direttore - Leggo Andrea’s Version e temo che la mia Casseseide abbia generato uno spaventoso equivoco. 1) Privo della quotidiana segnaletica del Foglio, non saprei dove e come andare a sbattere. 2) Purtroppo sono secoli che non intervistiamo Ciancimino jr, e lo farò presente a Travaglio. 3) Da cazzone a cazzone noto che l’autore della rubrica (così come il prof. Cassese) evita di pronunciarsi sulla vexata quaestio dell’amatriciana: meglio il guanciale o la pancetta? Auguri. 
Antonio Padellaro 


 

Al direttore - Leggo delle due condizioni che il Pd porrebbe a Conte per riscrivere il Recovery. Una, mi sembra, opportuna. E’ la stessa avanzata da Prodi e altri: dare ai progetti una decisa evidenza di fattibilità, coerenza tecnica e visibilità di risultati attesi. E questo è anche, credo, l’input comunitario. La seconda condizione del Pd è, confesso, scarsamente afferrabile. E, forse, rituale. Che significa dire: i progetti non devono essere un elenco proposto dai ministeri (e fin qui), ma “devono indicare un radicale cambiamento del modello di sviluppo esistente”. Dove, chiederei, i progetti devono fare questo? Forse il Pd si riferisce al preambolo del piano? Forse si vorrebbe un bel testo introduttivo di princìpi (enfatici, lirici e filosofici ) sul “nuovo modello di sviluppo”? Immaginiamo infarcito di obiettivi-valore: pulito, sostenibile, ecologico, eccetera? Detto così è il meno. Ma sarebbe solo inutile retorica. Intanto, quello “esistente”, va ricordato, non è un “modello di sviluppo”, una realtà di recessione, decrescita e non-sviluppo. Il Recovery fund, per l’Europa, dovrebbe innanzitutto essere il mezzo per invertire la decrescita e ritornare competitiva. Senza la precondizione dello stop alla decrescita, della ripresa della produttività e della competitività, lo sviluppo ecologico e sostenibile è utopia, chimera, aria fritta. Ma poi, come si cambia davvero un “modello di sviluppo”, secondo il Pd ? Con un testo di premessa al Recovery? Oppure preoccupandosi, in primo luogo, che i progetti contengano stimoli all’economia, misure espansive che stimolino la domanda di investimenti, che usino spesa pubblica produttiva e attivino una spinta a spendere per famiglie e imprese? E’ per questo che, più che la filosofia, serve che i progetti siano scritti tecnicamente bene. La retorica preambolistica, invece, è solo la parte facile, ovvia e banale del problema…
Umberto Minopoli

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