Cav. batte Calenda 10-0. Foglio batte Borghi. Debenedetti vs Rovelli

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 27 novembre 2020

    Al direttore - Mantenere lo scostamento sociale. 
    Giuseppe De Filippi

     


     

    Al direttore - Il grido “uomo in mare” ha sempre fatto scattare l’opera di soccorso. Qualunque nave lo raccolga, cala in mare le scialuppe e tira fuori chi annaspa tra le onde. Non importa la nazionalità e perché si trovi lì. E’ la comune appartenenza all'umanità che obbliga chi soccorre e garantisce chi, in pericolo, sa di poter contare sull’aiuto altrui. E’ un principio, questo, che vale da sempre, in ogni luogo e in ogni mare. E vale a prescindere dalle politiche migratorie di ciascuno stato. Vi possono essere diversi modi per regolamentare i flussi di uomini e donne che attraversano le frontiere: possono essere politiche più o meno aperte, più o meno sensibili alle esigenze di chi arriva, più o meno attente invece all’interesse di ricevere i lavoratori utili all’economia nazionale. In sostanza più o meno generose oppure utilitaristiche. Ma va assicurato il rifugio a chi nel suo paese rischia persecuzioni, violenze e maltrattamenti disumani, pena di morte; e a chi fugge da guerre, carestie e pandemie, catastrofi naturali. E’ la Costituzione che lo stabilisce, insieme alle convenzioni internazionali. All’interno di questo quadro di norme e princìpi, che pure lasciano un certo margine di libertà alle politiche scelte dagli stati, i recuperi di persone in pericolo, effettuati dalle navi delle ong, rappresentano una norma morale e giuridica imprescindibile. E invece le navi delle ong che operano nel Mediterraneo per salvare migranti e profughi in pericolo sono oggetto di norme persecutorie e di molestie amministrative, oltre che di una vera e propria diffamazione, che vuole eccitare l’opinione pubblica. Nessuna delle accuse a loro indirizzate ha mai trovato riscontro nelle indagini giudiziarie, eppure l’ostilità verso questa essenziale attività resta assai robusta e diffusa, e si esprime anche attraverso alcune disposizioni del recente decreto legge 130 in materia di immigrazione. Per opporsi a tale stato di cose si è costituito un Comitato di garanzia per la tutela morale e per la difesa giuridica delle ong del soccorso in mare, promosso da Sea-Watch, Open Arms, Medici Senza Frontiere, Mediterranea, SOS Méditerranée, Emergency e ResQ. Del Comitato per il diritto al soccorso fanno parte, oltre a chi scrive, Paola Gaeta, Francesca De Vittor, Luigi Ferrajoli, Federica Resta, Vittorio Alessandro, Armando Spataro e Sandro Veronesi. Tra le finalità del nuovo organismo: l’attività di formazione nell’opinione pubblica di un orientamento di sostegno all’attività di salvataggio in mare; la facilitazione delle relazioni tra le Ong e le autorità pubbliche italiane, con l’obiettivo di ricostituire condizioni minime di operatività e di collaborazione; la promozione di una discussione pubblica intorno al tema del diritto al soccorso, come principio irrinunciabile di civiltà giuridica e come legge universale fondata sul diritto del mare e sul diritto internazionale. Chi ne ha voglia, può darci una mano scrivendo a [email protected].

    Grazie dell’attenzione, egregio direttore, e cordiali saluti.
    Luigi Manconi e Vladimiro Zagrebelsky

     


     

    Al direttore - Carlo Calenda ieri ha annunciato con grande enfasi il fatto che il suo partito ha scelto, in Parlamento, di “non votare lo scostamento di bilancio insieme a +Europa perché manca il confronto, ma soprattutto manca un investimento sul futuro del paese mentre si ipoteca il futuro del paese con un debito sempre più alto”. Mi sembra una scelta saggia, non so cosa ne pensa lei.
    Mauro Marroni

     

    Mi sembra onestamente una scelta senza senso dettata più dall’incapacità da parte dei soggetti in questione di farsi ascoltare che dalla volontà degli altri soggetti di saper ascoltare chi ha idee diverse. Berlusconi batte Calenda dieci a zero.

     


     

    Al direttore - Ho letto sui vostri social che il Foglio ha vinto una causa contro l’onorevole Claudio Borghi ma poi ho letto una risposta di Claudio Borghi che dice “va bene così, diamo fuoco pure al diritto parlamentare, diciamo che le relazioni in commissione invece del relatore (lo dice la parola stessa ma vabbè) le fa il presidente, diciamo che la firma del presidente che non vota significa approvazione invece di regolarità. Bene così”. Chi ha ragione?
    Luca Meffi

       

    Lo storia è questa. Il 7 marzo del 2019, il Foglio pubblicò un articolo dal titolo: “Rimosse le critiche all’euro in commissione Bilancio. Borghi cede alla Castelli”. Claudio Borghi, parlamentare della Lega, se la prese per un nostro articolo, scritto da Valerio Valentini, e annunciò querela. La querela arrivò davvero, l’abbiamo vinta noi, ma il dato più interessante della storia è una questione che non c’entra con l’oggetto della contesa (noi a Borghi vogliamo sempre un mondo di bene: se non ci fosse bisognerebbe inventarlo) ma che c’entra con una questione che meriterebbe di essere discussa in separata sede. Domanda: ma un querelante che querela e poi non vince la querela ci perde qualcosa? E ancora più in particolare: ma le spese legali in un procedimento del genere sono a carico di chi viene querelato per ragioni che non c’erano o sono a carico di chi querela per ragioni che non esistono? La risposta vi aiuterà a capire perché una querela non si nega a nessuno: se la querela avviene in sede penale, chi querela non ha il dovere di pagare nulla anche se la sua querela non ha né capo né coda. Il giorno in cui l’onorevole Borghi dovesse riuscire a convincere il suo partito a occuparsi di questo tema – può sembrare incredibile, ma i problemi della giustizia esistono anche quando i problemi non hanno a che fare con Salvini – siamo pronti a pagargli un caffè (ovviamente in lire).

     


     

    Al direttore - Per liberare Delhi dai cobra che la infestavano, gli inglesi offrirono un premio per ogni carcassa di quel rettile; naturalmente gli indiani si misero ad allevare cobra, e quando il governo, accortosene, abolì il premio, gli indiani se ne liberarono: il risultato fu di avere di molto aumentato il numero dei rettili in circolazione. Il famoso caso è richiamato da Simon Samuels su Financial Times del 17 novembre a proposito del divieto imposto alle banche di distribuire i circa 60 miliardi di euro di dividendi previsti per il 2020, per rendere i loro bilanci più pronti a sopportare i danni economici del Covid-19. Con la conseguenza che la capitalizzazione delle 66 maggiori banche europee diminuisse di 250 miliardi di euro, circa il 25 per cento: logico, prendere un dividendo è la principale ragione per cui i risparmiatori comprano azioni di banche. Ma le banche hanno bisogno di capitale per fare prestiti, e la caduta del loro valore in Borsa gli rende più difficile trovarne altro sul mercato. Risultato: diminuiscono i crediti proprio quando sarebbero più necessari. Non basterà eliminare il divieto, l’effetto perdurerà per anni: i risparmiatori hanno buona memoria. “Con il coronavirus la ricchezza si è spostata” titola il Corriere l’articolo di Carlo Rovelli: “Ci sono settori che in questo periodo si sono molto arricchiti. I profitti di molte aziende sono in crescita splendida. Il valore delle azioni di Amazon è praticamente raddoppiato quest’anno, in un solo giorno il patrimonio di Jeff Bezos è aumentato di 13 miliardi di dollari: vi sembra giusto?”. Giusto non so: benedetto certo. Amazon è stata indispensabile per sopravvivere durante il lockdown, la sua esemplare efficienza ne ha fatto il modello per una nuova modalità di acquisto, a cui si sono riconvertiti grandi magazzini, negozi, perfino ristoranti. Quanti contatti pericolosi, quanti contagi in meno, quante terapie intensive evitate? Il fatturato di Amazon è aumentato? Per fortuna, la sua crescita corrisponde a ricavi commerciali che altrimenti sarebbero andati perduti. Il valore delle azioni possedute da Jeff Bezos è aumentato? Certo, così come quello di coloro, e sono la maggioranza, direttamente o indirettamente, che vi hanno investito i propri risparmi, e, a differenza di Bezos, possono lucrare il plusvalore senza conseguenze sul mercato, e usarlo se ne hanno bisogno per tirare avanti, come famiglia o come azienda. Che si tratti di vendite al dettaglio, di lavoro a distanza, di vaccini, è per la prospettiva di guadagno che i risparmiatori affidano i loro soldi ai fondi di venture capital, che a loro volta convogliano quel capitale alle aziende più promettenti; ed è la prospettiva del rapido arricchimento che spinge le aziende a investire in ricerca e i ricercatori a rompersi la testa giorno e notte per arrivare per primi a trovare la killer application. Quando ricevo il libro che ho ordinato due giorni fa, quando riesco a restare in contatto con gli altri, quando ho a portata di mano tutte le informazioni di cui ho bisogno, chiedersi se è giusto è la domanda sbagliata. So che è utile a me, e necessario a tanti. Rovelli vorrebbe che si riparlasse di redistribuzione, e suggerisce di farlo aumentando le tasse. Queste sono uno strumento da manovrare con cura: usarlo non per far crescere la dimensione della torta, ma per tagliarla in un modo diverso, dà risultati negativi per tutti. Anche per gli interventi fiscali, come per i cobra di Delhi, come per i dividendi delle banche, incombe sulle azioni dei governi la legge delle conseguenze non intenzionali delle azioni intenzionali. Carlo Rovelli se la studi: è assoluta come una legge fisica, la aggiunga al suo fortunatissimo libro “Sette brevi lezioni di fisica”.
    Franco Debenedetti