Contro la Tetra via delle democrazie illiberali. Biden e la soft left

Le lettere al direttore del 26 novembre 2020

    Al direttore - Anche la sinistra italiana era scettica sulla previsione che il “golpe” non ci sarebbe stato e che la lealtà costituzionale avrebbe prevalso. Alla fine, però, non sono stati gli avversari politici a costringere Trump alla ritirata, bensì la forza delle regole – elezioni intoccabili, sovranità del voto popolare, accountability degli stati –, e la fedeltà alla bandiera nazionale di alcuni senatori repubblicani a far vincere la democrazia americana che, nonostante l’età e gli acciacchi, ha dimostrato di funzionare. 
    Massimo Teodori


     

    Al direttore - L’idea di muovere dalla vittoria di Biden negli Stati Uniti e dal risorgimento laburista promosso da Starmer nel Regno Unito per gettare le basi di una riscossa globale dei progressisti è così interessante e ricca di potenzialità che non merita di essere abbandonata a polemiche di corto respiro, superficiali e rivolte al passato. Il problema non è decidere se avessero ragione Blair e Clinton oppure Corbyn e Sanders. Su questo abbiamo discettato per anni. E’ stata una bella disputa e ognuno ha la propria idea. Ma è ormai materia per approfondimenti storiografici. I sempre più accentuati squilibri sociali ed economici del mondo contemporaneo richiedono un cambio di marcia, non la stanca ripetizione degli scontri dell’altro ieri. Clinton, Blair, Sanders e Corbyn non sono più l’attualità. Del resto Biden è sotto molti profili diverso da Clinton: nella coalizione politica da lui costruita per vincere le presidenziali l’area radicale dei democratici americani ha un peso più rilevante in confronto a quello che ebbe negli anni 90, anche perché sono passati 30 anni e molte cose sono mutate. E Keir Starmer, come sa chiunque conosca l’abc del dibattito interno al Labour, non è mai stato blairiano. Il problema vero che oggi abbiamo di fronte è capire che il nazional-populismo è una minaccia internazionale alla democrazia liberale portata avanti da un movimento dotato di una ramificazione internazionale. E che questo pericolo può essere contrastato solo da un’alleanza internazionale dei progressisti che superi lo sfilacciamento attualmente riscontrabile nei rapporti tra le forze di centrosinistra nei vari paesi, europei e no. Senza dubbio questa alleanza dovrà battere vie riformiste. Ma vie nuove rispetto alla “Terza via” di tre decenni fa. Perché oggi, diversamente da allora, è più pressante l’esigenza di costruire compromessi realistici ed efficaci tra impresa e lavoro e tra le componenti moderate e quelle radicali del progressismo. E questioni come la lotta alla disuguaglianza e al cambiamento climatico, nonché l’impegno per una crescita più robusta e inclusiva, si pongono in maniera del tutto inedita e in forme assai più acute. Altrettanto si può dire di temi come il governo dei processi migratori e la sicurezza sociale ed esistenziale dei ceti medi e popolari scossi dalla tremenda incertezza creata dall’onda lunga della grande recessione del 2008. Crisi nuove esigono risposte nuove. Quindi guardiamo avanti. Se in Italia trasformiamo questa riflessione, che è di grande portata e di decisivo rilievo, in un derby tedioso e anacronistico tra nostalgici di Clinton e Blair e nostalgici di Sanders e Corbyn facciamo una cosa ridicola e soprattutto poco utile.
    Dario Parrini

     

    Non saprei come chiamarla, la via incarnata da Biden e da Starmer. Non vedo grandi simmetrie con la “Terza via”, a causa di una presenza dello stato che, per forza di cose, nei prossimi anni sarà molto più robusta rispetto agli anni Novanta. Quel che si vede, piuttosto, è una stagione in cui a dominare sarà una nuova forma di flessibilità politica. E quel che si vede, se si vuole, è una stagione in cui a governare il mondo saranno probabilmente i paesi che meglio di altri sapranno trasformare la propria disponibilità al compromesso (la Germania con la sua grande coalizione, gli Stati Uniti con il Congresso diviso a metà tra democratici e repubblicani) in una virtù utile a restituire al mondo alcune coordinate non negoziabili: difesa della democrazia liberale, difesa del multilateralismo, difesa della globalizzazione. Più che una nuova “Terza via”, quella che si vede all’orizzonte è una volontà diffusa di trovare un’alternativa valida alla “Tetra via” del nazionalismo politico.