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Perché il guaio del Covid-19 non si misura con il tasso di letalità

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Al pari suo, anche io ho apprezzato il discorso della Merkel. Solido, efficace, senza fronzoli. Un esempio di capacità e visione politica. Ne ho condiviso, ovviamente, i contenuti. La direzione che ha dato alla Germania in questa seconda ondata di pandemia è chiara. Priorità alla salute, sacrifici adesso per avere benefici poi, spirito di solidarietà come comune denominatore nella lotta al virus. C’è però a mio avviso una contraddizione di fondo nel discorso della Merkel, che sono sicuro non le sarà sfuggita e che è riconducibile al ruolo della cancelliera in Europa. Nella difficile genesi del Recovery fund, la posizione della Germania è stata equivoca, al pari della posizione dei tedeschi nei negoziati per definire il prossimo bilancio europeo. E’ tutta tedesca la responsabilità di aver contrastato la richiesta iniziale del Parlamento sia sulla dotazione complessiva del Recovery sia sulla necessità di garantire più obbligazioni che prestiti, sebbene questa volta sia toccato all’Olanda dare un volto al rigorismo dei paesi del centro-nord. Ed è sempre tedesca la responsabilità dello stallo nei negoziati per il Multiannual financial framework (Mff) che, con tutta la complessità del caso, si può semplificare così: se il Parlamento vuole che l’accesso al bilancio sia vincolato allo stato di diritto, principio sacrosanto, a nostro avviso, perché porrebbe un freno a quanto sta accadendo ad esempio in Ungheria o in Polonia, allora deve rinunciare all’abolizione del “meccanismo di correzione”, nonostante sia stato votato a stragrande maggioranza dal Parlamento lo scorso settembre, ma che consente alla Germania di risparmiare 3,6 miliardi, all’Olanda 1,9, alla Svezia 1,7 e così via. Ho come l’impressione che la lotta al Covid stia finendo per acuire le divisioni interne e che la Germania sia la principale artefice di questa crescente separazione ideologica, metodologica e politica tra paesi frugali, un tempo rigoristi, e il resto d’Europa. Eccola, a mio avviso, la contraddizione della Merkel. Solidarietà, rispetto e unità sono dei valori assoluti, la base stessa su cui si fonda l’Unione europea. Ma siamo di fronte a una scelta non più derogabile: o accettiamo che siamo tutti uguali nei doveri quanto nei diritti, che bisogna condividere le decisioni, non imporle, che si può pretendere rigore quando si è rigorosi anche nella rinuncia a determinati privilegi, oppure il sentimento anti europeista diventerà non più arginabile. 
Giuseppe Ferrandino, europarlamentare del Pd 

 

Ho un’impressione molto diversa: se non ci fosse stata la Merkel oggi non staremmo neppure lontanamente parlando né di condivisione dei rischi né di mutualizzazione del debito europeo. Non scherziamo.


 

Al direttore - L’ho ascoltata martedì sera da Floris, caro direttore, e prima di lei mi ha colpito una dichiarazione fatta dal bravissimo professor Giuseppe Remuzzi. Remuzzi mi sembra che abbia detto qualcosa di questo tipo: la letalità del Covid, a oggi, è dello 0,2 per cento. Ripeto: 0,2 per cento. Devo pensar male?
Marco Marini 

 

E’ un dato che ha colpito anche me – anche se poi il dottor Bassetti ha precisato che il vero dramma del Covid non è tanto la letalità, a oggi, ma è la capacità di infettare le persone e di fare saltare così il Sistema sanitario nazionale, il cui collasso poi può portare anche a far curare male persone che potrebbero essere curabili – e per questo ho chiesto al professor Remuzzi se gentilmente potesse spiegarmi meglio quel dato. Il professor Remuzzi ha precisato quei dati e ci ha offerto alcuni elementi di riflessione interessanti. Il primo: 0,3-0,6 per cento è la letalità del virus nel mondo. Quanto all’Italia. Primo dato: assumiamo di avere entro fine anno 60.000 decessi su 60 milioni di abitanti, con una mortalità grezza di 1/1.000 (0,1 per cento). Secondo dato: la mortalità teorica stimata era del 3-6/1.000, ossia non controllando e non curando avremmo potuto avere 150-300.000 morti. Terzo dato: la letalità presume una stima dei “casi” di Covid-19. Mentre se ci limitiamo ai casi dichiarati, oggi è 40.000 morti/750.000 casi, ossia oltre il 5 per cento. Questa era del 12-13 per cento in primavera, e dell’1 per cento nell’ultimo mese. Ovviamente questa stima, ci dice Remuzzi, presenta un margine di errore molto grande, perché non si ha ancora una stima affidabile dei “casi”. Infine: se assumiamo che a fine anno 20 milioni di italiani siano entrati in contatto col Sars-CoV-2 e manteniamo i 60.000 decessi, arriviamo a una letalità del 3/1.000 (0,3 per cento). Il problema, sembra volerci dire Remuzzi, non è la letalità del virus (anche se i morti sono sempre di più: ieri 445) ma è la capacità dei nostri sistemi sanitari di potere gestire contemporaneamente un numero così alto di infezioni. Vale per l’Italia e vale per tutto il resto d’Europa. Spunti utili su cui riflettere.



Al direttore - Cari negazionisti del Covid, in questo periodo difficile per le infezioni da coronavirus non c’è proprio bisogno di negare la sua esistenza né di divisioni. 1)    Vi prego gentilmente di andare a vedere cosa è accaduto nelle zone dove sono venute a mancare tantissime persone per infezioni da coronavirus. Andate a Bergamo, in particolare, questo vi aiuterà a capire l’immensa tragedia avvenuta. 2)    Andate a sentire i parenti dei medici, degli infermieri, di tutto il personale sanitario, dei volontari, delle forze dell’ordine, di tutti gli altri parenti di persone venute a mancare per coronavirus. 3)    Quando c’è un’emergenza come quella per Covid-19, bisogna collaborare tutti per mettere in atto una strategia, un programma per salvare più vite possibile. 4)    In queste situazioni c’è bisogno di essere uniti per reperire risorse,  energie economiche e umane, personale, medici e infermieri per gli ospedali e in particolare per il territorio, con più mezzi e materiale a disposizione, per rafforzare i servizi socio-sanitari sul territorio, per svolgere funzioni di filtro, in particolare di prevenzione. 5)    Poi c’è bisogno di potenziare le rianimazioni, con più posti letto, più materiale e apparecchiature moderne. 6)    Ora dobbiamo tutti fare la nostra parte di responsabilità, per contribuire – dentro e fuori dai mezzi di informazione e formazione – a fare circolare e a dare notizie scientifiche vere, corrette, sincere, per contribuire a fare crescere in ognuno di noi e nella società coscienza etica e morale, per la salvaguardia e la difesa della salute. 7)    Con questa grave pandemia da coronavirus dobbiamo impegnarci e lavorare con tenacia nella solidarietà, tutti uniti per migliorare le condizioni di convivenza e di salute. Non si salva nessuno da solo, dobbiamo crederci e ognuno di noi deve dare il proprio contributo. Serve impegno per superare questo momento di crisi sanitaria, economica e sociale. Riusciremo a uscirne. In salute e migliori.
Francesco Lena

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