Ci vuole il Maestro Miyagi per capire il rapporto tra Conte e il Colle

Le lettere al direttore del 7 ottobre 2020

    Al direttore - Cioè Pappalardo è presidente degli Stati Uniti?
    Giuseppe De Filippi

    Al direttore - Metti quota 100, togli quota 100. Metti decreti Salvini, togli decreti Salvini. Giuseppe Conte è il nuovo Miyagi.
    Pasquale Annichino


    Al direttore - Michele Emiliano smentisce che la regione Puglia sia interessata a entrare nel capitale di ArcelorMittal. Non è uomo da partecipazioni pubbliche lui, preferisce direttamente le nazionalizzazioni stile Venezuela: “Nell’ipotesi in cui ArcelorMittal getti la spugna e vada via, risarcendo il danno che ci ha provocato, e si dia vita ad una società totalmente pubblica, solo in quel caso la Regione Puglia è disponibile”. Emiliano sogna insomma un’acciaieria gestita a mo’ di Acquedotto Pugliese, quello di cui Giulio Andreotti disse: “Non si sa quanto abbia dato da bere, ma certamente ha dato molto da mangiare”.
    Piercamillo Falasca


     

    Al direttore - Le dimensioni di Roma e i suoi secoli di storia preunitaria non hanno mai consentito la nascita di una comunità trasversale e consapevole e Roma non è una città in cui si parla al bar ed è più di ogni altra città d’Italia priva di quella caratteristica tipicamente italiana che intorno a un centro genera senso comune, amori, odi secolari, pettegolezzi. Ogni volta che si arriva in prossimità del voto si rincorrono grandi proposte, grandi progetti, grandi pacchetti di sogni come se la città potesse elevarsi da se stessa guardando a naso in su il maxischermo di un cinematografo ammuffito che proietta la promessa di una nuova grande bellezza. Una delle cose che a mio avviso è mancata alla nostra generazione è l’analisi degli effetti della visione dei governi Rutelli e Veltroni. Sembra che ripetere quei giorni sia la soluzione per Roma. L’Arcadia perduta. Molti di quei governi andavano bene per quei tempi e hanno generato danni che ancora paghiamo (modello cattedrali nel deserto invece che modello urbano diffuso, concentrazione del disagio sociale, mancata visione infrastrutturale, mancata managerialità nella gestione delle partecipate). Sappiamo tutti perché non si parla con sguardo critico di quei tempi: perché quella generazione in qualche modo governa ancora Roma e ancora ne definisce e disfa le candidature (vedi alla voce Ignazio Marino). Oltre alla mancanza di dibattito sul passato, manca un vero dibattito non su cosa debba essere Roma, ma sul come debba esserlo. Abbiamo paura di parlare di parcheggi sotterranei, di cura del ferro, di ciclo dei rifiuti, di cosa fare con le municipalizzate allora si lanciano grandi idee e grandi progetti. Ma se non parliamo di rifiuti, di trasporto pubblico, di traffico, di municipalizzate di cosa vogliamo parlare a Roma per “ripararla”? Davvero pensiamo di trascinare le periferie a parlare dell’ennesimo edificio progettato dalla archistar di turno anche questa volta e lungi da me dire che anche questo non serva alla città. Roma ha bisogno di almeno due mandati di riparazione illuminata. Ha bisogno di qualcuno che pensi che anche Roma possa avere i cassonetti interrati con la pressa come ad Amsterdam (meno ingombro per la strada, marciapiedi più puliti, più spazio di stoccaggio). Ha bisogno di un progetto di crescita turistica che tolga la polvere dalle pietre e la faccia essere contemporanea, attrattiva per un pubblico nuovo. Quanta economia parassitaria è a Roma solo perché ospita il centro nevralgico del paese? Per riparare il proprio tessuto sociale Roma ha bisogno che vengano spezzate le rendite di posizione che la attanagliano e di ricostruire (o costruirlo da capo) il senso di comunità al di là della categoria a cui ogni cittadino romano appartiene. Ogni progetto dei prossimi dieci anni, a mio avviso, deve guardare a questo e lavorare per questo.
    Cristiana Alicata


    Al direttore - Mi pare chiaro che il prossimo appello, per capire dove va o vuole andare l’Italia, sarà quello delle elezioni amministrative del 2021. L’appuntamento di Roma farà ovviamente la differenza. Le cronache registrano l’afasia della destra e la polifonia, se così si può dire, della sinistra. Tutto è ancora incerto, se non il bisogno di dare la scossa a una Capitale depressa, ampiamente delusa dal nulla amministrativo e politico dei Cinque stelle. Agli inizi del secolo scorso fu il Messaggero ad animare le forze che dettero vita alla operazione Nathan; oggi, fuori dallo schema di quella lontana esperienza, servirebbe un’analoga iniziativa per delineare uno schieramento a forte sensibilità liberal-popolare. Credo che il Foglio potrebbe essere di grande aiuto in questo.
    Lucio D’Ubaldo, ex senatore Pd