Governo: più che soldi, serve coraggio. Francesco: pecunia non olet?

Le lettere al direttore del 2 ottobre 2020

    Al direttore - Caro direttore, Alessandro Di Battista dichiara che il Movimento 5 stelle rischia di finire come l’Udeur. Dimentica di aggiungere “Ma magari!”.
    Pasquale Annicchino



    Al direttore - Dalle notizie che filtrano circa le indagini sul caso Becciu apprendiamo che il Papa ha (avrebbe?) nella sua disponibilità un conto riservato, personale, pare in sterline. Ho chiesto a chi ne sa molto più di me e mi è stato detto che i papi precedenti non avevano conti riservati. Il fatto che Francesco, invece, ne abbia uno non mi scandalizza, però credo che sia diritto dei figli della chiesa sapere perché il supremo pastore ha un conto riservato, come lo utilizza e soprattutto qual è la provenienza del denaro. Il Papa è il vicario di Cristo su questa terra (sebbene, per volontà di Francesco, sull’Annuario pontificio questo titolo sia stato “degradato” e inserito fra quelli meramente storici) e se il vicario di Cristo ha un conto personale mi sembra naturale che i fedeli, ovvero coloro che dal vicario di Cristo devono (dovrebbero) essere confermati nella fede, ne siano messi a conoscenza. O no? Ho già ricordato in un precedente intervento che esiste un diritto dei battezzati a ricevere un insegnamento sicuro, lineare, privo delle giravolte tipiche dell’opportunismo politico. E ho già detto che, a mio modesto giudizio, l’insegnamento che sta caratterizzando l’attuale pontificato non possiede tali caratteristiche di linearità ma, volendo piacere al mondo, spesso non conferma i fratelli nella fede ma li disorienta e li amareggia. Ebbene, fa parte di questo diritto anche sapere con esattezza come il vicario di Cristo maneggia il denaro e da dove proviene. Altrimenti la parola “trasparenza” resterà uno slogan buono per accontentare gli allocchi. A proposito di diritti, è il caso di ricordare che esiste anche il diritto di Dio a ricevere il culto nei modi dovuti, specie da parte di coloro che, per le posizioni che occupano nella gerarchia della chiesa, hanno le maggiori responsabilità. Ora mi chiedo: che tipo di culto stanno rendendo a Dio pastori che appaiono immersi in attività tutte terrene? Ricordiamo: “Deus non irridetur!”. Non ci si può prendere gioco di Dio. Quella cattolica è la fede dell’et et, ma in un caso diventa fede dell’aut aut: o Dio o mammona. Non si possono servire entrambi. Che gli uomini “conoscano Dio e non adorino il dio denaro” ha raccomandato una volta Francesco in un’omelia. Molto bene. Aspettiamo notizie e chiarimenti. 
    Aldo Maria Valli 

     

    I conti riservati, essendo riservati, restano riservati ed evidentemente non sapremo mai con certezza se i papi precedenti non li avevano e se questo Papa invece li ha davvero. Dovesse esserci però questa eventualità non potremmo che essere felici di sapere che Papa Francesco, su questo punto, ha cambiato idea rispetto a ciò che diceva due anni fa. Ricordate? Era il 4 maggio 2018 e il Santo Padre si rivolse così ai partecipanti a un convegno internazionale promosso dalla congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. “Senza povertà non c’è fecondità nella vita consacrata. Ed è muro, ti difende. Ti difende dallo spirito della mondanità. Noi sappiamo che il diavolo entra dalle tasche. Tutti noi lo sappiamo. E le piccole tentazioni contro la povertà sono ferite all’appartenenza al corpo della vita consacrata… E questo non si può negoziare. Senza povertà noi non potremo mai discernere bene cosa sta accadendo nel mondo. Senza lo spirito di povertà. Lascia tutto, dai ai poveri, ha detto il Signore a quel giovane. E quel giovane siamo tutti noi… Ci sono tre scalini per passare dalla consacrazione religiosa alla mondanità religiosa. Sì, anche religiosa; c’è una mondanità religiosa; tanti religiosi e consacrati sono mondani. Tre scalini. Primo: i soldi, cioè la mancanza di povertà. Secondo: la vanità, che va dall’estremo di farsi ‘pavone’ a piccole cose di vanità. E terzo: la superbia, l’orgoglio. E da lì, tutti i vizi. Ma il primo scalino è l’attaccamento alle ricchezze, l’attaccamento ai soldi. Vigilando su quello, gli altri non vengono. E dico alle ricchezze, non solo ai soldi. Alle ricchezze”. Fosse come dice lei, la svolta ci sarebbe e potremmo dire che l’espressione “pecunia non olet” forse non è peccato. 


     

    Al direttore - Ha notato come più sale il rapporto debito/pil e più è necessario spendersi nell’impegno per la sua riduzione? Forse qualcuno si sta finalmente rendendo conto che il Recovery fund non è altro che un altro corposo contributo all’aumento del debito, addolcito da un trasferimento netto di risorse (50 miliardi in cinque anni?) che, per un paese con più di 2.500 miliardi di debito (e più di 70 miliardi all’anno solo di interessi) è poco più di brodino caldo? Stesso discorso per il Mes, su cui si accapigliano inutilmente da mesi tutti i politici e i canali di informazione: altro debito, con un vantaggio in conto interessi talmente risibile (500 milioni di euro all’anno circa per qualche anno – in tempi di tassi negativi di più non si può fare) che non vale nemmeno la pena parlarne… La critica non è all’Europa, ma alla nostra classe politica, capace solo di spendere a debito: con buona pace di figli e nipoti. Un cordiale saluto
    Andrea Marchesani

     
    Ha ragione come sempre il nostro Guido Tabellini: i soldi dell’Europa sono importanti, ma per efficientare l’Italia non servono più fondi, serve più coraggio.