In politica basta il consenso per essere considerati al di sopra della legge?

Le lettere al direttore del 30 settembre 2020

    Al direttore - Lo dicono i manager dell’Ilva di Taranto (con un loro documento pubblico): Mittal (che aspetta tranquilla l’esito del confronto con Invitalia sul valore dell’azienda) potrebbe, in realtà, puntare a trasferire all’estero, in altri suoi stabilimenti, le quote di produzione dell’Ilva di Taranto. Dopo di che la siderurgia italiana è morta. La politica, invece di valutare il rischio e incalzare Mittal sul rispetto dei patti, sta agevolando questo esito mortale. Come? Diffondendo una bufala: far credere che la decarbonizzazione, la conversione degli impianti Ilva, il passaggio dall’uso del carbonio a quello del metano e dell’idrogeno e dall’altoforno alla produzione elettrica, sia una prospettiva possibile domani mattina e un esito alternativo alla ripartenza dell’Ilva com’è oggi. La decarbonizzazione e l’acciaio verde, a detta delle altre siderurgie europee che la perseguono, è un esito possibile al 2030/40, al termine di un’intensa fase di ricerca e di investimenti. Nel frattempo che succede a Taranto? Si ferma la produzione in attesa che l’acciaio diventi verde? Il Pd rischia di avallare questa bufala, parlando di una decarbonizzazione possibile domattina. Per salvare Taranto, dicono i manager, c’è una sola strada: garantire i volumi produttivi che rendono economico lo stabilimento oggi (6 milioni di tonnellate); rispettare i vincoli imposti dalle prescrizioni ambientali, senza metterne altri, cervellotici e avveniristici, come il metano e l’idrogeno sostitutivi del carbonio. Così si racconta una bufala, si illude la gente e si prepara il disastro annunciato. Con due soli soggetti sicuramente soddisfatti: i populisti che finalmente chiuderanno l’Ilva e la Mittal, che si porterà via le quote di produzione di Taranto e della nostra siderurgia. Ci pensi bene il Pd!


    Umberto Minopoli 



    Al direttore - Il processo di Catania a Salvini per il presunto sequestro dei migranti sulla nave Gregoretti? Come direbbe la grillina Lucia Azzolina, si tratta di “un caso di squola” di ingerenza della magistratura nelle scelte del governo e della politica. O no? Cordiali saluti.


    Pietro Mancini

     
    Come da sua stessa ammissione, sul caso Gregoretti Salvini ha scelto di derogare al diritto del mare. E Salvini lo ha fatto per rivendicare un principio che al leader della Lega è caro: dimostrare che per un politico avere consenso è condizione sufficiente per essere considerato al di sopra della legge. A Catania, in fondo, si discuterà anche di questo.


     
    Al direttore - E’ molto importante aver pensato di progettare un piano organico in materia sanitaria come quello che sta predisponendo il ministro Speranza. Ovviamente, esso richiama immediatamente il ricorso al Mes, che è verosimilmente il connesso intento sia di Zingaretti, sia del ministro. E’ immaginabile, però, che quella parte dei Cinque stelle rocciosamente avversa al Meccanismo si converta dopo avere conosciuto il piano in questione? Il fatto è che anche i temporeggiamenti non servono a sbloccare l’impasse, se non si affronta il vero problema che è sotteso alle posizioni contrarie: quello del rischio di condizionalità dei prestiti. Delle due l’una: o si crede fideisticamente alle rassicurazioni della Commissione Ue e del vertice del Meccanismo secondo le quali i prestiti che saranno erogati – i 37 miliardi per l’Italia – non sono sottoposti ad alcuna condizione se non al vincolo di destinazione, oppure si agisce per rivedere il trattato. Già l’assunzione di una tale iniziativa da parte del governo sarebbe chiarificatrice, perché eventuali opposizioni di partner comunitari finirebbero con l’ammettere l’esistenza del rischio anzidetto. Se, invece, vi fosse accordo, allora si potrebbe procedere anche se l’iter di revisione fosse ancora in piedi. Ciò eliminerebbe pure il pericolo di stigma, quasi completamente legato proprio alla condizionalità. Perché, allora, non si imbocca tale strada? 

     
    Angelo De Mattia