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Dare i numeri sul referendum. Spunti sul tramonto di un papato

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

    Al direttore - Enrico Letta: “Voterò Sì perché già un terzo degli eletti non lavorano” (titolo testuale, sgrammaticatura compresa, di un’intervista al Fatto). Decimazione: antichissima pena di morte inflitta a un soldato, estratto a sorte ogni dieci suoi commilitoni, per punire atti di ammutinamento, diserzione o codardia. Ideata dal console Appio Claudio Sabino durante la guerra contro i volsci (476 a. C.), nell’età moderna fu reintrodotta dal generale del regio esercito Luigi Cadorna durante il Primo conflitto mondiale. Tornò in auge nell’èra contiana, non più come strumento estremo di disciplina militare ma per decapitare i parlamentari lavativi, questa volta sorteggiati in ragione di un rappresentante del popolo ogni tre [Storia d’Italia. Annali: volume dell’anno di (dis)grazia 2020 ancora da scrivere].
    Michele Magno 

     

    Parlamentari elettivi in Europa. Italia, con la nuova riforma: uno ogni 100.807. Germania: uno ogni 116.855. Francia: uno ogni 116.503. Germania: uno ogni 116.855. Olanda: uno ogni 114.121. Regno Unito: uno ogni 101.905. Spagna: uno ogni 83.619. Dalla dittatura è tutto.


     

    Al direttore - Le reazioni e i commenti (questi sì “reazionari”) alla pacata e argomentata analisi di Matteo Matzuzzi (Foglio del 16/09) sull’attuale pontificato – analisi che a sua volta prendeva lo spunto da un denso saggio del direttore della Civiltà Cattolica (per inciso, molto elegante e raffinato, che fra i tanti pregi ha anche quello di gettare una luce nuova, muovendo da altra angolatura, sui pontificati precedenti) – le reazioni, dicevamo, se per un verso non fanno altro che confermare con buona pace della narrativa mainstream l’accresciuto nervosismo di certi ambienti, per altro non devono stupire più di tanto. Insomma, non è stata la prima e non sarà l’ultima volta che chi, svolgendo il suo lavoro, solleva dubbi o muove una qualche seppur rispettosa critica, viene fatto oggetto di attacchi rabbiosi da parte dei soliti, volenterosi difensori del Pontefice regnante. I quali, tra l’altro, sono essi per primi a rendere un pessimo servizio al Papa che non ha certo bisogno di improbabili avvocati d’ufficio; tanto più che stiamo parlando di un Pontefice. Oltretutto, nel merito quelle sollevate da Matzuzzi sono domande più che legittime posto che il ministero petrino non ha solo una dimensione spirituale, ma anche pastorale e di governo che, in quanto tali, richiedono una chiara visione dei problemi sul tappeto e un’altrettanto chiara rotta da seguire. Che poi lo si voglia chiamare programma o in altro modo poco importa. Ma di sicuro un pontefice non può permettersi il lusso di navigare a vista (né questo, by the way, è il caso di Francesco, che come ha giustamente ricordato Matzuzzi un programma ce l’ha eccome, messo nero su bianco nella “Evangelii gaudium”). Altrimenti è a rischio l’essenza stessa di ogni pontificato, che è quella di essere la “roccia” che conferma i fratelli nella fede. Anche per questo certe reazioni appaiono sempre stonate e fuori luogo. Per tacere di episodi sfociati nel grottesco come quando (si era alla vigilia di Natale del 2015) i succitati ambienti e gendarmi vari promossero nei confronti di Vittorio Messori, reo a sua volta di aver dato voce ad alcune rispettose perplessità nei confronti di Francesco, niente meno che la formazione di un comitato che pretendeva (sic!) che il Corriere della Sera gli sospendesse la collaborazione. L’aspetto singolare di quella vicenda, e che si ripresenta oggi, fu che gli attacchi a Messori giunsero da quegli stessi ambienti che, anni addietro, contestavano un giorno sì e l’altro pure la chiesa e i papi di allora (Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI). Con una piccola differenza: che se un Pontefice viene criticato, per semplificare, da sinistra, è lui che sbaglia e i suoi critici sono tutti martiri del libero pensiero; quando invece il Papa è criticato da destra allora è lui che ha ragione e i suoi detrattori hanno torto marcio. Ma tant’è. E’ una delle costanti della storia, non solo ecclesiale, che chi ieri stava sulle barricate e contestava, poi te lo ritrovi dall’altra parte a sventolare cartellini rossi. Lupi che hanno perso il pelo ma non il vizio di puntare il ditino sempre ergendosi a maestrini con la stessa sicumera e lo stesso tono altezzoso con cui di volta in volta a papi, vescovi ed eretici di turno, pretendono di insegnare come deve essere la chiesa e come si debba vivere il Vangelo. Avanti il prossimo.
    Luca Del Pozzo 

     

    Uno spunto utile per ragionare ancora sui temi dell’ottimo articolo di Matzuzzi, e sul senso del pontificato, lo si trova anche in un passaggio del libro di Loris Zanatta, sul “Populismo gesuita”. Un libro molto duro con Papa Francesco, ma che offre argomentazioni utili a riflettere su alcuni aspetti del papato, che possono interessare anche chi ha una posizione meno critica con il Papa. Nella logica di questo papato, scrive Zanatta, “la modernità è corruzione, la storia è caducità. Perciò la terra promessa non è un orizzonte futuro ma la nostalgia di un passato mitico. Per raggiungerlo non importa che i poveri salgano sulla scala della prosperità, ma che i ricchi ne scendano. La soluzione sta nella decrescita: bisogna ‘rallentare la marcia’, ‘ritornare indietro prima che sia tardi’. L’utopia cristiana dei populismi gesuiti è un inno alla povertà”. Riflettere.