Lucia Azzolina (foto LaPresse)

Più autonomia, grazie. Il governo sulla scuola rimandato a settembre

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ci sono novità sui sessantamila assistenti civici del ministro Boccia?

Michele Magno

Alla fine il governo ha optato per l’unico assistente civico che serve all’Italia. Abita su un colle. Di nome si chiama Sergio.

 

Al direttore - Se solo uno pensa che sulla poltrona attualmente (e, si spera, il più temporaneamente possibile) occupata dall’improbabile ministra Azzolina, un tempo sedeva Giovanni Gentile, tra i maggiori filosofi italiani (e non solo) del Novecento, si ha tutta la misura dello sfacelo a cui un’intera classe politica ha condotto la scuola italiana. Non voglio stare qui a ricordare tutte le performance dell’attuale titolare del dicastero della Pubblica (d)istruzione, che sarebbe come sparare sulla Croce rossa. Ma così non si può andare avanti. A tutto c’è un limite. L’ultima (ultima?) genialata, scaricare su quei poveracci dei dirigenti scolastici l’onere di garantire la ripresa delle lezioni in presenza, suona oltremodo grottesca. E questo, ripeto, è solo l’ultimo tassello di un puzzle il cui risultato finale è stato chiaro fin dalle prime battute, quando nel pieno della pandemia venne annunciato urbi et orbi in nome di uno statalismo paternalista semplicemente antieducativo, che nessuno sarebbe stato bocciato. Per non dire del confronto impietoso con altri paesi. “Mentre nel resto d’Europa – scrive sull’ultimo numero di Tempi il direttore Boffi – s’è fatto di tutto per continuare a mandare i ragazzi in classe, qui ci si è arresi alla didattica a distanza e ai ricatti della Cgil”. Risultato: “Il peggior ministro dell’Istruzione che abbiamo mai avuto – e, dopo Fioramonti, ce ne vuole di talento – è riuscito a sbagliarle tutte. Un record”. Il Foglio nei giorni scorsi ha avuto il merito e il coraggio di denunciare tutti i limiti di un sindacalismo tardo-ottocentesco, che nello sfacelo della scuola italiana ha la sua buona fetta di responsabilità. Ma il punto è e resta politico. Non è accettabile, non è più tollerabile che un paese che ambisce, e giustamente, a sedere nel consesso dei grandi della Terra, affidi la formazione delle future generazioni alla prima arrivata (o al primo arrivato, qui sì che non cambia niente) in nome di una scellerata ideologia i cui danni sono sotto gli occhi di tutti. E, cosa ancora più grave, senza che nessuno abbia da ridire, a partire dalla stessa maggioranza di governo. Così non si può andare avanti. Non ce lo meritiamo.

Luca Del Pozzo

Capisco il punto, ma il suo giudizio non mi convince. Per due ragioni. E’ stato un errore non riaprire le scuole in questi mesi? Io penso di no. Penso sia stato corretto non aprirle. E penso che se un errore è stato commesso è stato quello di non aver sfruttato fino in fondo i poteri concessi dall’autonomia scolastica: permettere cioè, nella fase 2, alle regioni con meno contagiati di decidere se aprire oppure no. Siamo un paese barzelletta perché siamo l’unico in cui le scuole non hanno riaperto? Qualche dato: in Francia il 70 per cento dei genitori ha scelto di non mandare i figli a scuola; nel Regno Unito solo l’11 per cento degli alunni è rientrato nelle scuole primarie; in Spagna le comunità regionali hanno deciso in larga parte di non accogliere l’invito del primo ministro di riaprire i centri educativi per i minori di sei anni. Sul presente, onestamente, poco da dire. Per il futuro mi auguro che, in vista anche di possibili nuove ondate, l’autonomia scolastica responsabilizzi di più le singole regioni e che, sperando che nel frattempo i sindaci italiani abbiano compreso che il governo li ha dotati di poteri speciali da commissari straordinari per i lavori relativi all’edilizia scolastica, le linee guida siano non fumose ma chiare come quelle che durante il lockdown hanno permesso alle imprese che potevano restare aperte di non chiudere e di affrontare con serietà i duri mesi della pandemia. Per il resto, per un esame su questi punti da lei sollevati, ne riparliamo a settembre.

 

Al direttore - In merito all’articolo “Campari in Olanda. E dov’è lo scandalo?” pubblicato sull’edizione del Foglio del 24 giugno, Saipem precisa che la sede legale è ubicata in Italia. In Olanda sono presenti due società detenute al 100 per cento da Saipem Spa, la Saipem International BV e la Snamprogetti Netherlands BV, che svolgono unicamente attività di detenzione e gestione di partecipazioni. Sono pertanto delle pure (sub)holding.

Ufficio Stampa di Saipem

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