L'estremismo di destra e sinistra nel governo del cambiamento

Al direttore - Dal blog grillino: “Chi ha votato Movimento 5 stelle il 4 marzo non è un coglione”. Ma non sono vietati i sondaggi in campagna elettorale?

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - C’è qualcosa di nuovo nella politica italiana. Il Pd ha una strategia, dopo tanto tempo. Ha deciso di creare una sinistra alternativa alla destra. Non è cosa nuova? Lo è invece, perché la destra non c’è, e non ci sono più neppure il centrodestra né il centrosinistra. C’è il nazional-populismo, il sovranismo giustizialista. Zingaretti lo sa benissimo, e infatti il suo progetto prevede due tempi. Uno, creare la destra, due opporgli la sinistra. Ecco perché il Pd non fa l’opposizione al governo ma a Salvini. Vuole strappare i 5 stelle alla maggioranza, costringendo Salvini a formare una coalizione di destra. Se questo progetto funzionasse il Pd uscirebbe da un isolamento che oggi promette, col suo 20-22 per cento, una permanenza stabile all’opposizione.

L’idea del Listone e la guerra sotterranea che il Pd, da Zingaretti a Calenda, fanno a +Europa per evitare che al centro dello schieramento nasca un’Alleanza dei volenterosi (con elettori liberaldemocratici di Renzi, e liberali di Berlusconi) sono componenti essenziali di questa strategia. Spinto Salvini su Meloni, Tajani e magari CasaPound il Pd potrebbe opporre alla destra-destra una sinistra-sinistra composta da Pd e 5 stelle e sostenuta dal nuovo sindacato unico (il Listone sindacale) lanciato con tempismo da Landini. Fantasia? Pareva fantasia anche l’alleanza tra Salvini e Di Maio. E’ un progetto credibile? Al momento no, ma dipenderà dalle valutazioni della Casaleggio e associati. Sarebbe una soluzione per la crisi della democrazia liberale e dell’economia italiana? E’ qualcosa di simile alla nuova sinistra liberaldemocratica di classe che ieri sul Foglio Ferrara descriveva e forse auspicava? Non lo penso, l’Italia è il solo paese in cui è maturata una forza totalitaria e spregiudicata come il M5s. Il progetto di Zingaretti, se riuscisse, temo riuscirebbe in un’alternativa nella continuità, e in una via parallela, spostata sul versante della radicalizzazione a sinistra, verso il disastro definitivo.

Marco Taradash

 

Il governo del cambiamento non è il governo che rappresenta le nuove destre ma è il governo che rappresenta il peggio dell’estremismo di destra e di sinistra. Il problema non è di Zingaretti ma di tutti coloro che nel Pd si rifiutano di riconoscere una cosa semplice. Ovvero che questo governo non è il prodotto di una cultura xenofoba, o quantomeno non solo, ma è il prodotto di una cultura veterosindacale, giustizialista e antimercatista che è stata alimentata per anni più dalla peggiore sinistra che dalla peggiore destra. Un’alternativa vera non può nascere se non parte da qui.

 


 

Al direttore - L’espressione “dolce vita” compare da noi molto prima che Federico Fellini e il suo principale sceneggiatore, Ennio Flaiano, la rilanciassero come titolo del loro celebre film. Forse in origine traduceva la nota espressione francese “douceur de vivre”, usata da Talleyrand a proposito dell’Antico regime. La sua enorme fortuna internazionale segue tuttavia la diffusione della pellicola (1960), ed è legata all’immagine che l’Italia di allora, apparentemente ricca e godereccia, dava di sé nell’euforico inizio degli anni Sessanta; immagine peraltro largamente artefatta, come ha osservato Masolino d’Amico in un saggio pubblicato da Laterza nel 1993 (“Bianco, rosso e verde”). La Roma, più che descritta, vagheggiata dal grande regista riminese non era infatti mai esistita; o, perlomeno, i suoi aristocratici non erano mai stati così eleganti, i suoi viziosi non erano mai stati così opulenti, le sue donne non erano mai state così affascinanti. Il protagonista di un altro film dell’epoca, “Il sorpasso” di Dino Risi (1962), mostra un italiano gaudente e spregiudicato. Ma in modo assai più plausibile che in quello di Fellini, il suo carattere strafottente e ottimista viene continuamente contraddetto da un contesto decisamente modesto, ossia da una nazione popolata da contadini, piccoli borghesi, suorine. Inoltre, dei ricchi non viene taciuta la volgarità e il lusso che ostentano è piuttosto scadente. Vittorio Gassman, che viaggia su una vecchia Aurelia sport al cui parabrezza -per evitare contravvenzioni- ha attaccato un contrassegno della Camera dei deputati, non ha denaro in tasca e adocchia la giovane cameriera del ristorante. Insomma, “Il sorpasso” descrive l’Italia del cosiddetto boom come fu, e “La dolce vita” l’Italia come sognava di essere. Ma veniamo al punto. E’ possibile attribuire agli italiani una particolare maestria nell’arte di godersi la vita? Un quarto di secolo fa D’Amico non aveva dubbi, perché i nostri connazionali “mangiano bene, vestono bene, spendono molto per gli svaghi; […] importano più champagne e più cachemire, in proporzione, di qualunque altro popolo, e questo anche in periodi di crisi, quando gli altri, compresi i loro creditori, tirano la cinghia”. Ma oggi? Oggi, nonostante il tempo delle vacche grasse sia finito, restiamo pur sempre un paese che, insieme a un’evasione fiscale e a un’economia sommersa stratosferiche, ha una ricchezza privata pari a sei-sette volte il pil. Può così accadere (in realtà, è già accaduto) che qualche buontempone censito come indigente provi a prenotare una stanza in alberghi a quattro stelle con la la card del reddito di cittadinanza. Poi dicono che la povertà non è stata abolita.

Michele Magno

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