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Lettere rubate

La noia, un uomo amato e l'altro desiderato

Annalena Benini

Quel poco che resta e sta per essere spazzato via. "Un pranzo a settembre", di Irène Némirovsky

Ma...la sua lombalgia, i mal di stomaco, i riposini dopo pranzo...meno di questo, un tic, una contrazione del labbro superiore, la voce stonata che cantava tutte le mattine in bagno lo stesso motivo...Francois, un tempo, con il giovane viso ardente rivolto verso di lei...Ah! Bah, era così...Tutte le mogli, tutti i matrimoni sono uguali.
Irène Némirovsky

Un pranzo a settembre” (Terre di mezzo, 50 pp, illustrazioni di Mara Cerri, traduzione di Cinzia Bigliosi)

    

Thérèse sta per compiere quarant’anni e sente che tutto sta finendo. La gioia, l’emozione, l’amore. E’ sposata con Francois, che un tempo amava e trovava affascinante e ardente, ma adesso distoglie il pensiero da quei giorni ormai perduti, che formano “nell’anima una sorta di residuo dolciastro, come la feccia lasciata dai vini liquorosi sul fondo dei bicchieri”. E’ autunno e ovunque, anche nella bellezza di un pranzo al lago, c’è la morte in attesa. Il crepuscolo. Questo racconto è del 1933, uscito sulla Revue de Paris insieme a un articolo intitolato: “L’antisemitismo in Germania”. Il 30 gennaio Hitler era stato nominato cancelliere. Leggo nella postfazione di Cinzia Bigliosi che in quella primavera pesante Némirovsky si era confidata un giorno con la cameriera: “Vedrete che adesso sarà la volta della morte”. Aveva da poco compiuto trent’anni, i felici anni parigini stavano finendo, nel 1930 aveva scritto “Il ballo”, in cui l’odio per la madre era diventato un racconto splendido e terrificante. Sarebbe stata denunciata come ebrea dalla stessa borghesia parigina che l’aveva applaudita come elegante e spietata scrittrice.

Un pranzo a settembre è lo sguardo dentro l’abisso della perdita delle illusioni. Il tempo che passa, i lineamenti appesantiti, la noia di un uomo che un tempo ti ha fatto battere il cuore, o forse era solo il battito della giovinezza. Qui gli uomini sono due, uno amato, sposato, e l’altro semplicemente concupito un tempo, come in un sogno. Adesso quell’uomo è qui, in carne e ossa, il marito non tornerà fino a domani, ma lei vuole sapere soltanto se lui l’ha amata, tanti anni prima. “La mia giovinezza, pensò con disperazione Thérese, la mia breve, la mia stupida, la mia unica giovinezza! E a cosa serve adesso sapere se mi ha amata oppure no? A cosa?”. Lui che ha 45 anni e dice: “Bere, mangiare, dormire, non resta altro”.

Il batticuore, la speranza, il sussulto di qualcosa che poteva essere e non è stato, o forse solo il desiderio di essere ancora laggiù, nel mondo in cui tutto era possibile ed era desiderio. Adesso il sole è più freddo, il collo di lui è più tozzo, la magia è perduta, il viso è appesantito e pallido ma le labbra sottili e screpolate sono ancora le stesse, ancora crudeli. Lei nasconde i fili grigi tra i capelli e gira il volto dove sa che la luce lo colpisce meglio, ma non c’è allegria, non c’è leggerezza. Tutto è crepuscolare e sempra preannunciare un futuro terribile. Lui le chiede come lei passi le giornate. E in quelle giornate non c’è nulla, oltre al cambio degli armadi con la cameriera e l’acquisto degli strofinacci a gennaio. Mangiare, bere, dormire. Non c’è altro. Eppure anche tutto questo poco sta per essere spazzato via

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.