Mia cara Scottie, il lavoro è dignità

Annalena Benini

La lunga lettera di Francis Scott Fitzgerald alla figlia

Mia cara Scottie,

non penso che scriverò lettere ancora per molti anni, e vorrei che tu leggessi questa due volte – per quanto dolorosa. So che adesso la respingerai, ma un giorno può darsi che ripnsandoci ci troverai qualcosa di vero (…) Riassumendo: a partire dall’epoca in cui sei diventata una buona tuffatrice al campo estivo, non hai fatto praticamente nulla per farmi piacere o rendermi orgoglioso di te (e adesso sei più pigra di prima). La tua carriera di “scatenata ragazza di società”, annata 1925, non mi interessa. Non ne voglio sapere niente: la troverei noiosa come una cena con i Ritz Brothers. Se non ho la sensazione che tu stia andando ‘da qualche parte’, la tua compagnia mi rende depresso per la futilità e lo spreco assurdo che richiede (…) Ti voglio sempre bene, ma mi interessano soltanto le persone che pensano e lavorano come faccio io, e alla mia età non è facile che io cambi idea. Che tu lo faccia – o voglia farlo – è ancora da dimostrare. Papà

  

Francis Scott Fizgerald, lettera alla figlia

Da “Sarà un capolavoro, lettere all’agente, all’editor e agli amici scrittori” (minimum fax)


   

Francis Scott Fitzgerald scrisse questa lunga lettera a sua figlia Frances nel 1938. Lei era nata nel 1921, dunque aveva diciassette anni. Lui, suo padre, ne aveva quarantadue e aveva già scritto quasi tutto quello che poteva, aveva avuto il suo tracollo e sarebbe morto di lì a poco tempo, nel 1940. In questo libro prezioso curato da Leonardo G. Luccone ci sono lettere fondamentali per capire il bisogno di scrivere di Fitzgerald: per sposare Zelda, per pagare i debiti, per avere un anticipo e mantenere Scottie, per una vita luminosa ma anche per far suonare la musica delle parole: “La mia vita è la storia di una lotta tra l’impetuoso desiderio di scrivere e una serie di circostanze tendenti a impedirmelo”. C’è l’esaltazione per i racconti pagati quattromila dollari (allora un’automobile della classe media costava 260 dollari), “il Post adesso paga la vecchia puttana 4000 dollari a scopata”, si vantava con Ernest Hemingway, ma poi c’è il tormento per il crollo dei compensi, e Fitzgerald chiedeva agli agenti un po’ di comprensione e di soldi, somme urgenti via telegrafo: “Comunque sì, ho vissuto pericolosamente, ed è possibile che alla fine io ne debba pagare il prezzo, ma sono già in tanti a dirmelo e non mi pare che debba per forza farlo tu”. Tutto è importante e significativo dentro questa corrispondenza in cui Fitzgerald racconta anche che le sue idee di romanzo, ma la durissima lettera alla figlia adolescente è forse il manifesto della serietà, della dignità e della disperazione di un uomo che viveva per lavorare, cioè per scrivere. “Quando avevo la tua età nutrivo un grande sogno. Il sogno è cresciuto e ho imparato a parlarne e a farmi ascoltare dalla gente. Poi un giorno il sogno si è separato da me quando alla fine ho deciso di sposare tua madre, anche se sapevo che era una donna viziata e che non prometteva nulla di buono per me (…) Poi sei arrivata tu, e per molto tempo la vita ci ha dato un sacco di felicità. Ma ero un uomo combattuto: tua madre voleva che lavorassi troppo per lei e non abbastanza per il mio sogno. Ha capito troppo tardi che il lavoro è dignità, l’unica dignità, e ha cercato di espiare mettendosi lei stessa a lavorare, ma ormai era troppo tardi ed è andata in pezzi, e lo rimarrà per sempre”.

  

Fitzgerald non risparmia colpi a Zelda, che pure ha amato follemente, ma ha il terrore che Scottie segua le sue orme. “Uno dei più grandi desideri della mia vita era quello di impedire che tu diventassi quel genere di persona, una che manda in rovina se stessa e gli altri.Ma a volte penso che gli indolenti facciano parte di una categoria speciale per cui è impossibile pianificare alcunché, è inutile supplicarli: il loro unico contributo alla famiglia umana è scaldare un posto alla tavola comune”. Scottie da bambina parlava francese ed era incantevole, ma adesso “la tua conversazione è banale come se avessi passato gli ultimi anni al Liceo del Vacuo Romanticismo: roba che hai letto su Life e letto nei romanzetti erotici”. Le chiede di evitare di mettere nel diario roba noiosa che si può trovare in una guida da dieci franchi. Le ricorda che il lavoro è l’unica dignità e che lei deve ancora dimostrare tutto.

  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.