Sull'Italia, l'Economist per una volta ci prende. Altre intenzioni di voto

Al direttore - E’ finita l’èra del vaffa, a’ stronzi.

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - Ieri ho preso la tessera del Pd. In questa desolante vigilia elettorale, una sola cosa positiva mi sembra da augurarsi: che il Pd prenda più voti.

Franco Debenedetti

 


 

Al direttore - Ho apprezzato il suo editoriale del 2 marzo. Stiamo vivendo in un grande Truman show. La sceneggiatura è intessuta di disgrazie, di povertà contrapposte a odiosi privilegi di una Casta che si gode prebende, vitalizi e pensioni d’oro e che prospera nella corruzione a combattere la quale dedicano il loro impegno indefessi magistrati. Per fortuna, a differenza del protagonista del film, costretto ad attraversare un mare in burrasca per trovare un’uscita di sicurezza, a noi, per accorgersi della finzione orchestrata dai talk-show, basta camminare per strada e osservare da vicino la vita reale.

Giuliano Cazzola

Al direttore - Analisi interessante, a due giorni dal voto, quella apparsa ieri sul Financial Times. Un’analisi che se possibile la dice lunga su come il mondo della finanza e degli affari vede la situazione italiana. Primo affondo: “Whoever comes out on top needs to tackle deep-seated structural problems in the economy and financial sector with much greater vigour. None of the most likely outcomes – a ring-wing grouping, a grand coalition or a Eurosceptic government – appears to offer that”. Secondo il giornale della City, dunque, nessuno dei possibili vincitori è in grado di affrontare i problemi strutturali di natura economica e finanziaria. Come iniezione di fiducia, niente male. Seguono poi due carezze riservate, rispettivamente, a Gentiloni e – strano, no? – Berlusconi. Sul primo, gli austeri osservatori d’oltremanica dicono che sì, “It is still possible for him to emerge at the head of a grand coalition”, salvo poi andarci giù con la roncola dicendo che non ha fatto abbastanza: “Steering out Italy of a triple-dip recession was not enough”. Sul secondo invece il giudizio, che riecheggia quello celebre dei vicini di casa dell’Economist (che però di recente si sino ravveduti), è lapidario: “Mr Berlusconi is not the answer”. Punto. E il motivo è presto detto: “Like President Trump in the US, he played the pluto-populist, the wealthy man of the people capable of standing up to vested interests and kick-starting the economy”. Peccato però che non ha fatto niente, anzi. “Instead, he abused his position to fend off the law”. E vai con il disco rotto da vent’anni in cima a tutte le hit parade. Riassunto: per il FT a) a prescindere da chi vincerà le elezioni nessuno è in grado di risolvere i ben noti problemi strutturali dell’Italia (ma non ditelo a Di Maio, mi raccomando), b) Gentiloni (e chi l’ha preceduto, ça va sans dire) non ha fatto abbastanza e c) Berlusconi non è certo la risposta. Ok, e quindi? Arriva la Troika?

Luca Del Pozzo

Qui, per una volta, la pensiamo come l’Economist di ieri: “The least bad way forward would be another government of the president, a broad coalition underwritten by Sergio Mattarella”. Solo le larghe intese, forse, ci possono salvare da uno scombinato e pericoloso governicchio sfascista.

 


 

Al direttore - Pensierino sulla campagna elettorale: “La verità non ha ormai più alcun senso da quando la menzogna è diventata così a buon mercato” (Ennio Flaiano). Pensierino sulle elezioni: “Gli eletti non possono mai essere più stupidi dei loro elettori” (Bertrand Russell). Dimenticavo: domani voterò Pd. Forse sono un masochista, o forse un sadico.

Michele Magno

 


 

Al direttore - La voce della destra britannica per bene e contrarian, il settimanale Spectator, ha pubblicato un pezzo a firma Nicholas Farrell sulle elezioni italiane. Saltano all’occhio il primo e l’ultimo paragrafo, in cui si ripete la litania travaglio-leghista dei governi non eletti dal popolo. Che la febbre grillina stesse contaminando le cancellerie europee già lo sapevamo. Le redazioni della Londra che conta, almeno, si sperava fossero immuni. L’antidoto è lo stesso che in tanti prescriveremmo a un Di Maio qualunque: un bel corso intensivo di diritto costituzionale.

Tommaso Alberini

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