La demagogia della Commissione. Pomicino difende Boschi e striglia Padoan

Al direttore - Spelacchio: ricevute pressioni dalla Boschi.

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Il cupio dissolvi che ha avviluppato l’intero sistema politico italiano spinge alla deriva ogni livello istituzionale salvando sinora solo la presidenza della Repubblica. L’ultima deriva è quella che sta vivendo la commissione bicamerale d’inchiesta che oggi sembra allo sbando pur avendo l’obbligo di fare emergere ogni responsabilità sul fallimento di 6 banche minori e, a cascata, sui problemi che stanno affannando l’intero sistema del credito. Ebbene dinanzi a questo mandato avuto dai due rami del Parlamento la commissione sembra essere presa da una crisi isterica sulla convocazione dell’ex amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, per sapere se davvero la sottosegretaria Boschi abbia caldeggiato il salvataggio della Banca Etruria nei cui organi direttivi c’era, com’è noto, il padre con la qualifica di vicepresidente. Una notizia che se anche fosse confermata non aggiungerebbe nulla alla tragedia di migliaia di risparmiatori e si concluderebbe in una specie di sanzione morale della Boschi che avrebbe mentito al Parlamento. Un ministro, o comunque un deputato della Repubblica, non solo ha il diritto ma il dovere di interessarsi di tutto ciò che accade nella propria regione offrendo o cercando soluzioni a problemi che possono travolgere economicamente molti cittadini. E qui casca l’asino. Se la Boschi e il governo di cui era componente meritano una condanna politica non è certo per aver detto a Ghizzoni di salvare Banca Etruria. La condanna va comminata per l’esatto contrario, e cioè per non aver salvato le 4 banche del centro Italia quando potevano ancora essere salvate. E la responsabilità primaria ricade sulle spalle del ministro del Tesoro. Il ministro del Tesoro è il convitato di pietra di quella commissione la cui statura culturale sembra inadeguata per fare chiarezza sulle contraddizioni del nostro sistema del credito. Prima Monti e poi Grilli hanno iniziato a istruire la disciplina del bail-in senza rendersi conto dello stato in cui versavano alcune banche che avrebbero potuto salvare come hanno fatto francesi, tedeschi e inglesi. L’opera scellerata fu continuata dal governo Letta senza che a nessuno venisse in mente di consultare Bankitalia per conoscere le condizioni in cui versavano le nostre banche alcune delle quali erano già state Commissariate da Bankitalia (Banca Marche). Il governo Renzi nell’aprile 2014 approvò il recepimento della direttiva europea che conteneva la nuova disciplina delle risoluzioni bancarie senza voltarsi neanche per un momento indietro per capire l’impatto che quella disciplina avrebbe avuto sul sistema bancario italiano. Lo stesso governo, nella persona del ministro del Tesoro Padoan, lasciò cadere l’utilizzo del fondo interbancario secondo una interpretazione della commissione europea che riteneva quelle risorse di natura pubblica. La nostra Banca d’Italia sosteneva il contrario e Padoan si accodò all’interpretazione della commissione. Un ministro del Tesoro politico e non tecnico avrebbe fatto l’esatto contrario e avrebbe risolto il problema. L’inerzia dei ministri del Tesoro ha di fatto costretto lo stato a non intervenire per tempo per salvare le banche costringendolo così poi a metter mano alla tasca (oltre 29 miliardi di euro) quando i buoi erano già scappati. Di tutto ciò la commissione non si interessa per cui chiederà a Ghizzoni solo della chiacchierata con la Boschi e non delucidazioni sul presunto buco lasciato da lui a Unicredit che ha consentito al suo successore Jean Pierre Mustier di fare quel maxi aumento di capitale (15 miliardi di euro) e sottrarre così il controllo italiano non solo su Unicredit ma a cascata anche su Mediobanca e Generali. In tutta questa sarabanda da periferia, intanto i duri e puri dei 5 stelle si sono incontrati con alcuni fondi speculativi e alcune realtà finanziarie come la francese Amundi che aveva acquistato dal concittadino Mustier un player del risparmio gestito del calibro di Pioneer. E così il cerchio si chiude. Mentre Roma discute l’Italia viene espugnata mentre l’opposizione già omaggia i nuovi padroni della finanza italiana.

Paolo Cirino Pomicino

 

Noi qui stiamo con Casini, quando, profetico, disse che questa commissione “sarà un impasto di demagogia e pressappochismo che, al di là delle migliori intenzioni, non produrrà nulla di buono per le istituzioni”. L’ultimo spenga la luce.

 

Al direttore - Maria Elena Boschi si sta inviluppando (ci mette tanto del suo) nella medesima ragnatela in cui sono rimasti intrappolati, prima di lei, altri ministri, indotti a dimettersi per motivi che alla prova dei fatti si rivelarono fuffa da fotoromanzo. A mettere in difficoltà  il sottosegretario alla presidenza del Consiglio non sono le telefonate, gli incontri, smentiti o confermati sempre a metà nelle audizioni della commissione Casini, senza che nessuno sia in grado di dimostrare la loro effettiva gravità.  A pesare sul destino di Maria Elena saranno i precedenti: quei fatti che hanno messo alla gogna brave persone come Maurizio Lupi, Federica Guidi e molte altre, troppe, prima di loro. Se la politica si è rassegnata  ad assecondare un’opinione pubblica, più assatanata che “rancorosa’’, diventa fin troppo facile domandarsi perché a Maria Elena Boschi debba essere risparmiato quel vilipendio a cui altri, non meno “innocenti’’ di lei, sono stati sottoposti e lasciati soli. Quando era premier Matteo Renzi,  in occasione di un voto di fiducia al Senato, pronunciò delle parole che lasciavano sperare in una riscossa della politica: “Negli ultimi  venticinque anni si è aperta una pagina di autentica barbarie legata al giustizialismo’’. Parole che da allora non si sono più udite in tante circostanze in cui sarebbe stato necessario ribadirle con forza e coraggio. Ripeterle oggi nel caso Boschi è ormai troppo tardi.

Giuliano Cazzola

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