Stefano Parisi (foto LaPresse)

A Parisi ora converrebbe sostenere la destra che dice Sì

Le lettere a Claudio Cerasa di mercoledì 16 novembre 2016

Al direttore - Il megavaff.
Giuseppe De Filippi

 

 

Al direttore - Caro Cerasa, non c’è nulla da aggiungere al suo articolo di ieri. Se il Cav. vuole sopravvivere (politicamente) e dare una mano alle sue aziende non gli resta che allearsi con The Young Pop (complimenti per il copyright). Non gli si può perdonare il No al referendum, ma potrebbe sdebitarsi rimettendo Salvini con i piedi per terra e magari anche Toti. Per quest’ultimo, volare è comunque più difficile.
Lorenzo Lodigiani

Berlusconi, come spiega bene oggi Salvatore Merlo in prima pagina, come al solito vuole tenersi aperta qualsiasi strada, sia quella dell’andare da solo, sia quella dell’andare con Salvini e con Parisi, sia quella dell’andare con Salvini senza Parisi, sia quella dell’andare con Parisi ma senza Salvini, sia quella del puntare tutto su un volto diverso da quello di Parisi e Salvini, sia quella di lavorare a una nuova alleanza con Renzi, e come si sa il Cav. uno e trino, e vive felicemente sapendo di smentire continuamente se stesso (arte che ha trasmesso magnificamente anche a Renzi). Indebolire Parisi in questa fase presenta però una controindicazione alla quale Berlusconi deve pensare: se passa l’idea che in caso di vittoria del No il futuro del centrodestra è in mano a Salvini, involontariamente Berlusconi sta consigliando agli elettori del centro liberale (che dice di voler rappresentare) di andare a votare per il Sì, per evitare la deriva salviniana. E’ più forte di lui: il No al referendum costituzionale è un No contro natura e ogni giorno Berlusconi involontariamente, nella sua campagna per il No, non fa che offrire ragioni per votare Sì (scelta che a questo punto dovrebbe fare con una certa urgenza anche il nostro amico Stefano Parisi. Con il sostegno di Berlusconi, aveva un senso che Parisi fosse sul No. Con il sostegno a metà, a Parisi converrebbe rappresentare il centrodestra che dice sì).

 

 

Al direttore - Una delle definizioni più brillanti e argute del tradimento è certamente quella di Charles-Maurice de Talleyrand: “La trahison n’est qu’une question de temps”. “Quando non cospira, Talleyrand intrallazza”, diceva François-René de Chateaubriand. In effetti, il camaleontico principe di Benevento era passato indenne – e sempre in posizioni di prestigio – dall’Antico regime alla Rivoluzione, dal Direttorio al Consolato, da Napoleone alla Restaurazione di Luigi XVIII, e poi alla monarchia di Luglio. Oggi sulla scena italiana personalità del calibro dello “stregone della diplomazia”, come fu chiamato Talleyrand, proprio non se ne vedono. Se fossi in Berlusconi, quindi, non mi turberei più di tanto per il voltafaccia di qualche ex seguace in cerca di un posto al sole. Del resto, siamo pur sempre il paese di Machiavelli e di Guicciardini, del 25 luglio 1943 e di Badoglio, degli ex comunisti smemorati e degli ex fascisti incensurati. Cavaliere, stia sereno ma non si unisca a quelli del No per amore del sistema proporzionale. Molti dei suoi il 5 dicembre  potrebbero voltarle nuovamente le spalle per amore chi di Salvini, chi di Grillo.
Michele Magno

 

 

Al direttore - Il suo editoriale di sabato 12 ha, secondo me, colto il vero scontro politico in atto a livello mondiale. Lo scontro non è più tra destra e sinistra, non è nemmeno più tra establishment e antiestablishment (Trump rappresenta un establishment diverso, ma è pur sempre establishment): è tra apertura e chiusura. In sostanza lo scontro è tra chi è per la globalizzazione e chi la rifiuta, a vantaggio di un ritorno al nazionalismo e al localismo. In questa occasione è opportuno scegliere da che parte stare: scegliere se continuare a perseguire il modello post Muro di Berlino oppure scegliere un nuovo modello, fondato su protezionismo e isolazionismo (un “ritorno alla storia”, volendo parafrasare il linguaggio di Fukuyama). Credo che bisogna difendere l’ordine post muro di Berlino poiché esso ci ha permesso di avere: vantaggi economici di crescita, concorrenza, innovazione; vantaggi politici con l’implementazione dei regimi democratici (con annessi diritti) e vantaggi culturali aprendoci al mondo e offrendoci opportunità impensabili alle generazioni a noi precedenti. Senz’altro questo ordine mondiale, in questi anni, ha commesso innumerevoli errori, mostrandosi distante e incapace di rispondere agli interessi della gente, del popolo; concentrandosi di più sugli interessi finanziari e in ciò l’Unione europea ne è l’esempio più lampante. Ma ciò non toglie la portata universale che questo ordine aveva e che può ancora avere: quello di aprirsi al mondo, all’universale e non chiudersi nel proprio “orticello”. Occorre che le forze a esso favorevoli si esprimano e difendano ciò che di buono comunque, in questi anni, il capitalismo e la globalizzazione hanno fatto.
Simone Grella

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