Lo spettacolo dei produttori di fango che si indignano per la gogna
Al direttore - Ah sì? Marra è il virus? Allora Red Ronnie al Bilancio!
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Annalena Benini descrive bene “la ferocia materiale e immateriale di una gogna che trasforma una ragazza in un niente a disposizione di tutti”. Quanto successo è uno dei frutti perversi della cultura dominante, che da decenni propone libertà senza responsabilità e descrive l’essere umano come una monade, privo di relazioni, teso solo alla soddisfazione dei propri desideri. Di conseguenza l’altro diventa un oggetto. La legge su bullismo e cyberbullismo che stiamo votando alla Camera ben poco potrà fare contro questo vuoto umano e morale. Urge una riscossa educativa. Ne saremo capaci?
Antonio Palmieri, deputato Forza Italia
Le leggi in questo caso servono a poco, caro Palmieri. Il problema, e mi consenta l’espressione, è culturale, è di metodo, è di prassi. Ci siamo abituati a vivere con la gogna mediatica, ci siamo abituati a vivere con gli occhi fissi sul buco della serratura, ci siamo abituati a considerare il diritto allo sputtanamento un articolo fondamentale della nostra costituzione immateriale. La storia di Tiziana Cantone è anche questo purtroppo. E’ solo la punta di un iceberg più grande, che è la gogna appunto, alimentato dalle stesse persone che oggi accusano internet e i social network di essere responsabili della diffusione del letame. Dice bene Luca Sofri: “Mentre ‘la Rete’ metteva alla gogna la ragazza, i giornali invece la difendevano con discrezione e protezione: fan bene a indignarsi, ora”.
Al direttore - La feroce oscenità delle tricoteuses mediatiche è un tratto caratterizzante dei nostri tempi. Lo sconcio culturale massimo è che l’abbiamo coltivata e incoraggiata, addirittura applaudita, in nome della libertà. Apprezzabile, quanto possa esserlo in seguito a un suicidio quasi istigato, il “nostra culpa” a posteriori, di Peter Gomez. Ma non cambierà nulla. Non siamo di fronte a un’infezione d’organo ma ai sintomi di una setticemia.
Moreno Lupi
Al direttore - Vecellio ha rimproverato al Foglio di non essersi accorto del fatto che l’auspicato dibattito tra i Radicali si sia svolto (si svolge ancora?) tutti i giorni alle ore 12 e di non avervi preso parte. In fondo era anche sufficiente collegarsi via web per seguirlo, un po’ come con il “Grande Fratello” televisivo. Questa precisazione rende ancora più incalzante un dubbio. Come mai dopo tutto quel lungo e costante dibattito i cosiddetti “pannelliani” si sono limitati a proporre al Congresso di salutare “la creazione del Global Committee for the Rule of Law” senza decidere nulla, neanche di renderne noti l’indirizzo web il codice fiscale (o la partita Iva) il numero di conto corrente (per eventuali contributi) lo statuto o un atto costitutivo, e di far conoscere ciò che distingue questo Comitato – rendendone necessaria la costituzione – dagli altri soggetti Radicali (e non) impegnati sul fronte della promozione della democrazia e dello stato di diritto nel mondo?
Marco Eramo
Al direttore - Leggo, con qualche meraviglia, una statistica secondo la quale Roma è, dopo Milano, la seconda città italiana per presenza di imprese “innovative” (startup?). Per il 2016 Milano vanta 13.157 di tali imprese, Roma la segue con ben 13.021. Terza viene Torino, ma con sole 6.529 unità. Le risparmio le altre cifre di questa statistica, che comunque confermano la non grande distanza tra le due città. La mia competenza in fatto di statistiche e di economia è molto bassa, ma la lettura di queste cifre mi fa pensare che Roma sia, in qualche modo, una città economicamente produttiva, se non proprio fiorente (già, che fine ha fatto la Tiburtina Valley?). Anche a Roma forse esiste un ceto economico abbastanza attivo e capace. Non mi pare tuttavia che la classe politica se ne occupi adeguatamente, stimolandolo e coinvolgendolo nella gestione della città. A Roma è dominante la cultura del pauperismo, la classe politica (da sempre o quasi, direi) forse teme di essere accusata di coinvolgimenti e collusioni con eventuali “poteri forti”. Si preferisce mettere in risalto fenomeni, più o meno veritieri, di “Mafia Capitolina”, magari solo in funzione di una lotta di poteri tutta mediatica. Sarebbe interessante, a mio avviso, una qualche più ampia ricerca in merito.
Angiolo Bandinelli
Al direttore - Bello e malinconico il ricordo di Ermanno Rea fatto da Dudù La Capria sullo sfondo di una Napoli letteraria che oggi non si ritrova. I compagni di una vita di Dudù: Ghirelli, Rosi, Patroni Griffi, Barendson e appunto Rea. Manca un capitolo legato a una professione amata che Rea non ha mai rinnegato. Per protesta contro l’invasione sovietica dell’Ungheria, nel ’56, Rea (come Ghirelli) lasciò l’Unità e Vie Nuove e con una Leica appesa al collo cominciò a giarare il mondo, Il Nepal. L’Africa, il Giappone. Vendeva le sue foto alle grandi agenzie internazionali. Con Mulas, Sansone, Dondero è stato uno dei nostri grandi fotoreporter. Nel 1963 arrivammo insieme a Le Ore, il settimanale diretto da Vittorio Bonicelli dove lavoravano Arrigo Petacco, Giancarlo Fusco, Alberto Bevilacqua. Io ero un giovane cronista che cercava lavoro. Ermanno una grande firma del fotogiornalismo internazionale. Insieme realizzammo un’inchiesta sul miracolo industriale di Bari, un miracolo effimero ma interessante. Due anni dopo, 1965, “misi le mie tre Leica e la mia Rolleuflex in un cassetto mai più riaperto’’,ha scritto Rea ricordando quegli anni Sessanta.
Gino Roca
Al direttore - Sensato il suo ragionamento sulla “polmonite” del Pd, però è fuor di dubbio che i D’Alema, Bersani e Cuperlo vari hanno audience finché restano in “ditta”. Fuori di lì impera la legge dell’oblio: qualcuno ha ancora memoria di Civati, Fassina, Mineo?
Valerio Gironi


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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