Il problema è Dio o l'uomo? Il terremoto tra illuminismo e fede
Al direttore - Voltaire scrisse il “Poema sul disastro di Lisbona” all’indomani del terremoto che distrusse, il primo novembre del 1755, la capitale del Portogallo. Dal punto di vista filosofico, è il primo grande atto di accusa contro l’ottimismo metafisico e teologico che il “principe degli illuministi” vedeva incarnato da Leibniz e dalla sua tesi secondo cui il nostro è il migliore dei mondi possibili. Dopo aver ricevuto, assieme a Diderot e D’Alembert, una copia del poema, Rousseau rispose con una lettera che spiazzò il suo autore. Il pessimismo – osservava lo scrittore ginevrino – se lo possono permettere i “beati possidentes”, ossia chi – ricco e tranquillo – disquisisce sulla teodicea nei salotti (come Voltaire), ma per i poveri e gli infelici l’idea che esista un mondo guidato dalla Provvidenza è l’unica consolazione. Il problema – aggiungeva – non è Dio, ma l’uomo, perché la maggior parte delle calamità naturali da cui siamo afflitti è causata da noi stessi. Rousseau esprimeva così un punto di vista nuovo. Un punto di vista che, promuovendo la progressiva laicizzazione della speranza, ha condotto l’umanità a prendere coscienza del rapporto fra natura e società, realizzando – con l’aiuto della scienza e della tecnologia moderne – quei sistemi di prevenzione che permettono di controllare gli eventi naturali e di ridurne al minimo le conseguenze potenzialmente micidiali per l’uomo. Per questo, contro il nichilismo aristocratico del “partito volterriano dei disfattisti” sulla ricostruzione delle zone terremotate, io sto con Rousseau.
Michele Magno
Rousseau ha spesso spiazzato i suoi interlocutori, compreso Voltaire, mandato gioiosamente a quel paese qualche anno dopo. Nel carteggio tra Rousseau e Voltaire c’è però un altro passaggio molto bello che colpisce al cuore, l’improvviso pessimismo cosmico di Voltaire. “Tutte le sottigliezze della metafisica non mi faranno dubitare un momento dell’immortalità dell’anima, e di una Provvidenza benefattrice. Io la sento, credo in essa, la voglio e spero in essa e la difenderei fino al mio ultimo respiro”.
Al direttore - In attesa di una improbabile perfetta riforma della Costituzione “più bella del mondo” votiamo “sì” anche se anti renziani. Di là per ora c’è il buio
Franco Martini
Al direttore - Credo, caro Cerasa, che il Leopardi giusto sia l’ultimo e definitivo di “A sé stesso”: “Omai disprezza. Te, la natura, il brutto poter che ascoso a comun danno tutto impera, e l’infinita vanità del tutto”. Con questa sintonia forse avremmo la chiave per prevenire, nutrire e curare la nostra società e il nostro territorio. Con il consueto affetto.
Marco Medeghini
Al direttore - Ho letto il suo editoriale “Contro la mitologia della natura buona”, e credo che la ricerca ossessiva di un colpevole, qui come in tante altre circostanze, più che al desiderio di credere che la natura sia buona, sia legata alla ricerca di un “sistema” tale per cui il male possa essere cancellato dalla nostra esistenza. Mi spiego. Frana una collina? Accade un incidente mortale in strada o sul lavoro? Ci si ammala di cancro? Tutte queste cose, riflette l’uomo della strada, possono capitare anche a me. Ma se si scopre che qualcuno ha sbagliato (il medico, il geologo, il politico, e chi più ne ha più ne metta), che qualcuno è colpevole, ecco che c’è una consolazione psicologica: se tutto funziona bene, a me queste cose non potranno mai capitare. Ed ecco il proliferare di leggi, controlli, processi, articoli di giornale, commissari, garanti tutti funzionali a darci l’illusione che il “sistema” sia possibile, che queste cose siano accadute ma sia possibile non farle accadere mai più, in particolare non farle accadere a me. Una vita, cioè, senza il rischio del vivere.
Marco Tioli
Al direttore - Certa ipocrisia giornalistica del dopo terremoto è davvero indigeribile. 1. “Dopo le proteste alle 18 funerali ad Amatrice”. Tutti così i telegiornali. E a sentirli sembrava che la povera gente terremotata avesse avuto bisogno di scendere in strada, esibire striscioni, fare fiaccolate. Erano stati previsti funerali a Rieti per motivi puramente logistici, la gente di Amatrice ha chiesto che si tenessero ad Amatrice, il sindaco della cittadina ha telefonato a Renzi, Renzi ha convenuto che la richiesta della popolazione di Amatrice era giusta. Fine. Nessuna frizione, nessuna incomprensione, nessun contrattempo. 2. “In Giappone scosse di questa entità non avrebbero prodotto crolli”. Opinione sentita a ripetizione, su televisione e giornali. Non mi risulta che in Giappone abbiano migliaia di minuscoli borghi millenari abbarbicati lungo centinaia e centinaia di chilometri di impervi Appennini. Al netto di tutte le nostre incapacità, un po’ di differenza con le distese pianeggianti delle città giapponesi questa oggettiva situazione a un tempo geo-ambientale e storica la farà, o no?
Roberto Volpi


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