Modello Pratica di Mare in Libia. C'è posta per Casaleggio

Redazione

    Al direttore - Capita la furbata dei 5 stelle per farsi pubblicare dal Fatto? Si parlavano attraverso intercettazioni.
    Giuseppe De Filippi

     

    Al direttore - In merito all’articolo di Salvatore Merlo pubblicato sul Foglio dello scorso 20 febbraio, e soltanto in merito a questo articolo, voglio precisare alcune cose. A settembre del 2014, per due giorni, io e altri colleghi del gruppo parlamentare M5s della Camera fummo impossibilitati all’uso delle nostre email. Al giornalista in più di una lunga conversazione sul funzionamento del gruppo parlamentare ai tempi in cui ancora vi ero iscritto, raccontai quello che ricordavo di eventi accaduti oltre due anni fa, e può darsi che io sia stato impreciso, o che Merlo abbia parzialmente equivocato. Infatti, non dissi che, come riportato nell’articolo del 20 febbraio, “ci ordinarono di consegnare user e password delle nostre poste elettroniche”, poiché nessuno mi chiese né password né user id. Semplicemente raccontai le preoccupazioni che si manifestarono anche nel corso di un’assemblea dei deputati intorno alle ragioni che avevano comportato quel blocco del sistema informatico. Non essendo personalmente a conoscenza dei motivi e delle cause di tale blocco non è mia intenzione formulare accuse.
    Sebastiano Barbanti

     

    Risponde Salvatore Merlo: Ringrazio l’onorevole Barbanti perché mi dà la possibilità di chiarire quel passaggio, di una riga, effettivamente equivocabile, in una lunghissima inchiesta di trentamila battute. Le password, come potrà confermare qualsiasi deputato o ex deputato del M5s, non furono chieste, né consegnate, personalmente dai singoli parlamentari. Come più specificamente raccontato in un articolo sul Foglio di sabato scorso, fu l’allora capogruppo Paola Carinelli – destando preoccupazione e malumori tra i colleghi deputati – a consegnare le chiavi d’accesso del dominio parlamentari5stelle.it a un tecnico informatico della ditta Wr Network srl di Torino, malgrado l’assemblea dei deputati avesse stabilito che il tecnico non potesse aver accesso completo al sistema. Anche Barbanti avrà letto cosa ha detto ieri a Repubblica l’onorevole Samuele Segoni (ex M5s): “Alla Casaleggio non andava giù che avessimo un sistema di comunicazione indipendente. Il server fu manomesso aggirando il volere dell’assemblea da un tecnico mandato dallo staff e pagato dal gruppo Camera che per qualche giorno ebbe il controllo totale della nostra posta. Quello fu il momento in cui tutti capirono che Casaleggio non era più solo un fornitore di servizi ma un soggetto che voleva influenzare la nostra politica”. Tutto torna.

     

    Al direttore - A proposito dell’articolo “Sesso di colpa”, di Alessandro Giuli (I.F., 10.11.201) e della sua conclusione che “non può bastare il ritorno (in potenza abbrutente) a una non troppo nitida Wilderness (gli ormai attempati “Maschi selvatici” di Claudio Risé), devo precisare che non sono titolare di alcuna tipologia o organizzazione di maschi, essendo i miei figli maggiorenni da tempo (personalmente poi non attempato, bensì fortunatamente vecchissimo). Sono bensì convinto testimone, sul piano personale, scientifico e terapeutico dei contenuti ed energie dell’archetipo del Mondo Selvatico originario (cui appunto appartengono i diversi aspetti del Maschio Selvatico, Donna Selvatica, Wildnis e Wilderness), che ho trattato in specifici lavori. Si tratta di materiali “poco nitidi” soprattutto quando non frequentati nella propria esperienza di vita, o almeno studiati nei numerosi lavori e pratiche ad essi dedicati nel mondo da antropologia, psicologia analitica, storia delle religioni, e organizzazione sociale (come ad es. il movimento internazionale per la Wilderness, presente anche in Italia).
    Claudio Risé

     

    Al direttore - Nel tuo editoriale di ieri affermi convintamente che gli americani insistono con Roma per l’invio di migliaia di militari perché da un lato non si fidano della Francia e dall’altra Renzi è in grado di propiziare una convergenza tra Russia e America. Sorvolo sulla presunta diffidenza di zio Sam verso Parigi – quello è un discorso che lascio a te e alla buonanima del generale Lafayette. Ma l’idea che a Washington vedano di buon occhio un coinvolgimento russo in Libia va presa con le molle. La Libia non è la Siria, dove l’intervento risoluto di Putin a sostegno di Assad risponde anzitutto ai dettami dell’agenda strategica di Mosca: puntellare gli sbocchi sul mare, limitare l’emergere di un Sunnistan, contenere l’espansione neo ottomana, evitare il contagio islamista in Asia centrale. Siamo certi che basti il crepuscolo della presidenza Obama a superare le diffidenze americane su Putin? E se queste fossero, anziché la fissa di un singolo presidente, un antico riflesso della sua burocrazia imperiale? E di una Libia fuori gioco non beneficerebbero forse le esportazioni di gas russo?
    Francesco Galietti

     

    La Libia non è la Siria ma la Libia potrebbe trasformarsi nella Siria e l’occasione di utilizzare il modello Pratica di Mare per l’intervento in Libia è una pista da non sottovalutare.