Proposta di sostituire Giovanni Toti con Hannibal Suárez

Redazione

    Al direttore - “I negri non mi avrebbero mai scaricato così”. Ma i renziani, quelli se serve rottamano pure le adozioni a distanza.
    Maurizio Crippa

     

    Al direttore - Non c’è bisogno di nessuna Leopolda Blu, è lì, già pronto, col suo sguardo da “tiguero”, superdotato come Porfirio Rubirosa (quando il presidente Trujillo seppe da sua figlia, Flor de Oro, delle sue doti amatorie, per salvaguardare l’onore delle dominicane lo assegnò all’ambasciata di Berlino, certo che le matrone tedesche se ne sarebbero fatte carico). A differenza dei dominicani, che hanno una loro atavica dolcezza lui, Luis Suárez, ha la durezza e la determinazione tipica degli uruguagi, questo misto di sangue indio e creolo che li rende simili a nibelunghi dell’emisfero australe. Li voglio vedere questi fighetti di renziani e di grillini, quando Luis comincerà a morderli alle caviglie, con i suoi occhi inespressivi, senza mai pronunciare una parola.
    Riccardo Ruggeri

    Io sono fermo a Giovanni Toti, ma la proposta ha un senso acuminato, è utile.

    Al direttore - E’ inevitabile, dopo il fatale schiaffo brasileiro. Nei bar, sui bus e nei crocevia del chiacchiericcio calcistico si dondola la testa e la frase più ricorrente è: “E poi, quel Balotelli…”. Pensando alla fiacca banda del brav’uomo Prandelli, mi viene in mente qualcosa di simile a quella che la psicologia definisce come “famiglia disfunzionale”. Se in un nucleo famigliare c’è un elemento difficile, caratterialmente o per sporadiche turbe psichiche, scatta un perverso meccanismo. Tutti gli occhi su di lui, un’attenzione minuziosamente ossessiva, una forte propensione ad assecondarlo. Lo “strano” diventa così baricentro emotivo: le spese le fanno gli altri, schiacciati sulle corde del ring o silenziati per sempre. Massima colpevolezza dei media e delle telecamere, con una cronaca che viviseziona ora dopo ora il “super-Mario”: zoom sul suo sorriso, sul suo dialogare oltre il minuto, sul “noi” al posto dell’“io” (lo si è interpretato quasi come svolta psichiatrica), sulla sua fidanzata, sulle vaste anticamere della rabbia e della brutale stizza. E avanti così, fino a ipotizzare un “interesse internazionale” attorno al muscoloso bresciano con la pelle d’ebano: tutto per un gol di testa. Meglio tornare al vero Super Mario, il pupazzetto dei giochi elettronici: quello corre come un dannato. Ma soprattutto è sempre allegro e (miracolo!), ride pure.
    Pier Mario Fasanotti

     

    E’ amareggiato e considera le critiche un linciaggio. Capisco la sua tristezza e me ne dispiace. In fondo non è, come sembra in campo, una colonna di marmo.

     

    Al direttore - “Nessuno di noi ha un collante che lo leghi ai propri incarichi”. Si consuma la fine della “narrazione” vendoliana. E si consuma come merita, con frasi-calembour come questa, che dicono niente fingendo di dire tutto. Il governatore pugliese non uscirà di scena con l’onore delle armi, ma sepolto da una risata, come si dice. Eppure, in questo fuggi-fuggi un po’ squallido, molto opportunista, dei suoi verso il nuovo uomo forte della sinistra, e verso il “partitone” c’è qualcosa che non va, una narrazione priva di fascino, di idee.
    Sebastiano Forioni

     

    La demagogia narrativa non sempre paga. Vedi i nuovi guai della povera Italia dei valori.

     

    Al direttore - Ben venga un nuovo Senato dopo una bella cura dimagrante, via pure le province, anche quelle virtuose. Però è anacronistico che esistano ancora le regioni a statuto speciale, protette da mamma Costituzione e dall’art. 116, quanto “costituzionale?”, come se fossero gioielli di famiglia e non dei figli viziati. Mi piacerebbe che prima delle prossime elezioni si parlasse anche di abolire questi strani privilegi, perché vorrei ricordare che l’Italia dovrebbe, il condizionale è più che mai d’obbligo, essere unita.
    Enzo Bernasconi

     

    Al direttore - Ogni tanto c’è un giudice pure a Strasburgo. E la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sospeso, su richiesta della famiglia, la sentenza del Consiglio di stato francese che aveva condannato Vincent Lambert, il cittadino francese da anni in stato di “minima” a morire di fame e di sete, come ha giustamente denunciato il Foglio di ieri. Ma non è affatto detto che l’uomo abbia salva la vita, né che la decisione di Strasburgo faccia poi scuola di giurisprudenza. Già, bella domanda, perché fanno giurisprudenza solo le sentenze che remano contro la vita umana?
    Roberta Follicelli

     

    Al direttore - So che lei ama i cani, ma credo apprezzerà la fedeltà di due simpatici felini bipartisan (il rosso e il nero). Continui con il suo apprezzato lavoro. E ripensi seriamente a un ritorno in tv. Ci manca! Cordiali saluti da Reggio Emilia.
    Patti Umberto con Roger e Molly