La serie degli anni Novanta "Seinfeld"

Tragedie-commedie

Mariarosa Mancuso

Il cattivo gusto di “Modern Seinfeld” adesso prende di mira l’attacco alle Torri Gemelle.

Se uno dice “faccio una cosa di cattivo gusto” già risulta meno di cattivo gusto (invece chi dice “una grave caduta di stile” si rende colpevole di una caduta di stile anche peggiore, come stabilì una volta per tutte Carlo Fruttero – quanto vorremmo che aggiornasse “La prevalenza del cretino” ai nostri tempi grillini). “Un esercizio di cattivo gusto” ha annunciato Billy Domineau prima di mettere su Facebook un finto episodio di “Seinfeld” – la serie ha chiuso nel 1998 – sugli attentati dell’11 settembre. Meglio: sulle reazioni di Elaine, George, Jerry e Kramer al crollo delle Torri Gemelle.

 



 

Leggilo se hai il coraggio, era la sfida. O un’astuta mossa per scaricare le proprie responsabilità. Siccome da noi abbiamo comici finti coraggiosi che disegnano vignette come “Lo stato delle cos(c)e” – la vera oscenità sta nelle parentesi, chiaro segno che neppure l’autore ha fiducia nella propria battuta – l’abbiamo fatto subito. Con gran divertimento. E un pensiero ai molti che hanno detto: “Prendi una tragedia, lascia passare del tempo, otterrai una commedia” (il primo fu Mark Twain, disse “humor” invece di “commedia” ma il concetto è rimasto identico). Non è il primo apocrifo prodotto dai nostalgici di “Seinfeld” – l’ultima puntata erano 76 milioni davanti al televisore – oppure dai nuovi fan. Su Twitter, “Modern Seinfeld” propone di continuo nuove trame, o per meglio dire situazioni. Qualcuno si è preso la briga di togliere le battute da un episodio, il resto si riduce a tre minuti (vedere su internet per credere). Da qui l’etichetta “lo show sul nulla”.

 

L’11 settembre non è il nulla, ma i nostri sono interessati come sempre all’ombelico loro, e al massimo una spanna più sotto quando fanno una gara di resistenza, niente masturbazione (allora non si poteva nominare, e infatti non viene nominata mai). Jerry lamenta la polvere sul sandwich, Elaine è felice perché il boyfriend di turno – noiosissimo – era in una delle torri crollate, Kramer riconosce in tv l’amico Mo Atta, gli faceva da fish-sitter. “Si lamentava sempre degli Stati Uniti”, ricorda. “Allora gli ho detto: ‘perché non fai qualcosa?’. Pensavo che avrebbe scritto una lettera a un giornale”. Mo Atta si è fatto prestare un tagliacarte e non l’ha mai restituito, il nostro pretende un risarcimento. Quando finalmente decide di compraselo da solo dice al negoziante: “Non mi crederà mai, se le dico che fine ha fatto il precedente”. Mi stupisca, dice il commesso. Nella scena successiva, Kramer viene buttato fuori dal negozio a calci.

 

Elaine – la magnifica Julia Louis-Dreyfus della serie presidenziale “Veep" – ha appena finito di rallegrarsi per la perdita del noiosone quando scopre che invece si è salvato (capita a due coniugi in lite nel romanzo di Ken Kalfus “Uno stato particolare di disordine”, e lì c’era meno tempo per trasformare una tragedia in una commedia). Lo ha salvato proprio George: una solida amicizia sta per finire, tanto più che il sopravvissuto chiede a Elaine di sposarla e come anello di fidanzamento usa il braccialetto in plastica dell’ospedale. Solo una ragazza senza cuore potrebbe rifiutarsi. “No hugging no learning” era il diktat della serie. Prometteva che non ci sarebbero stati abbracci, e che nessuno avrebbe imparato nessuna lezione dalle esperienze fatte. Non succede neppure qui. L’episodio apocrifo di Billy Dominic rispetta perfettamente lo spirito della storica serie. Anche quando la signorina all’istituto di bellezza spiega: il fango della maschera viene da Battery Park.  

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