Nonnacce cattive

Mariarosa Mancuso
Non avevamo certo bisogno di Gomorra per capire che il male ha sempre il suo fascino. Nonna Smurfcucina il polpettone con l’uovo dentro mentre addestra i rampolli per una rapina in banca.

E’ una nonna del tipo che si mangia il lupo in un boccone (e poi piangano pure gli animalisti). Niente a che vedere con il modello va-dove-ti porta-il-cuore che usa dalle nostre parti (perfino i francesi hanno una “vieille dame indigne” che nel film di Réne Allio vende tutto, gira le spalle ai figli e parte in macchina con la cameriera). La nonnaccia viene dall’Australia, come il film scritto e diretto da David Michôd nel 2010 con il titolo “Animal Kingdom”. Proprio il regno animale dove secondo le anime belle – gente che non ha visto mai un documentario con il leone e la gazzella sbranata – prede e predatori vivono in pace e armonia.

 

Stesso titolo per la serie che partirà negli Stati Uniti il prossimo 14 giugno, showrunner Jonathan Lisco. Dall’Australia ci spostiamo in California, per trovare Ellen Barkin nella parte di nonna Smurf (nel film del 2009 era Jacki Weaver, candidata a tutti i premi, dai Golden Globe agli Oscar, come attrice non protagonista, purtroppo senza portare nulla a casa). “Nei panni di una bionda” era il suo film più conosciuto, diretto da Blake Edward: un giovanotto viene ucciso da tre amanti coalizzate, per guadagnarsi il paradiso deve trovare sulla terra una donna che lo ami veramente. Questo era il piano divino, ma il diavolo si mette di mezzo e trasforma il seduttore in una femmina: non si può non sentire fitte di nostalgia per il 1991, quando si potevano girare film come questo senza curarsi dei diritti transgender. (A proposito: la serie “Transparent” è stata rinnovata per la quarta stagione, bisognerà mettersi in pari prima o poi.)

 



 

Nonna Smurf ha un’insana predilezione per i reggiseni neri con ferretto, che fa spuntare dalle magliette scollate e dalle vestaglie semiaperte, preferibilmente rosa. Prepara ogni mattina le frittelle e la spremuta d’arancia per i figli e per il nuovo arrivato Joshua Cody detto J. Il nipote, figlio di sua figlia morta per overdose nella prima scena del primo episodio. Arrivano i poliziotti, cercano di rianimarla, e J. impassibile continua a guardare il gioco a premi in tv, seduto sul divano a un metro da lei. Senza versare una lacrima. Con un attacco così, non è una serie per teneri di cuore. Ebbene sì, ai lettori e agli spettatori i cattivi piacciono, sono sempre piaciuti e sempre piaceranno, a dispetto di qualche articolo recente che si chiedeva: “Come mai succede una cosa così stravagante? dove sono finiti i buoni?”. Succede perché “Delitto e castigo” è un titolo più allettante di “Cioccolata a colazione”. Succede perché siamo figli della tragedia greca, e non avevamo bisogno dei videogiochi e neppure di “Gomorra” per scoprire che il male ha il suo fascino (e frequentarlo leggendo libri, guardando serie e film, giocando con la playstation non fa danni).

 

La nonna cucina il polpettone con l’uovo dentro mentre addestra i rampolli per una rapina in banca. Questo fanno, per mantenere alto il tenore di vita. Quando non rapinano, si tuffano in piscina o vanno a letto con due ragazze insieme (“le tue amiche fanno colazione con noi?”, chiede la mamma premurosa al figlio che gira nudo in cucina, urlando che lo spremiagrumi non lo fa dormire). Josh ha tutto da imparare. O da rifiutare, come suggerisce la vicina nera al funerale di mamma Julia. Complica tutto il fratello gemello di Julia, che nel film era latitante – la polizia sorvegliava la casa, in caso avesse bisogno di mutande pulite – e nella serie è appena uscito di prigione, libertà vigilata. Ma già vorrebbe tornare a lavorare, gelosissimo del nuovo venuto che gli ha rubato la stanza.

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